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“Controllo e Svalutazione”

Sesto Girone

“Controllo e Svalutazione”

Erano le due di notte, ero al buio seduta alla scrivania, solo la luce bianca di una lampada faceva da occhio di bue al computer. Scrivevo un articolo da aggiungere agli altri affinché, a fine percorso, potessi iscrivere il mio nome all’albo dei giornalisti.

 

La scrittura mi accompagna sin da piccola, è una necessità fisiologica prima ancora che una passione. Mia imprescindibile migliore amica, le ho affidato le mie più intime confidenze, è lei da sempre e per sempre il mio sostegno quando ho sentito e ancora sento l’esigenza di scavare nelle mie emozioni ed estrarne i sentimenti.

 

Il traguardo era il tesserino, era un mio pallino da tempo, non avrei pensato si potesse concretizzare e invece… Ormai da un po’ scrivevo e firmavo pezzi da quasi professionista e finalmente avrei potuto realizzare il mio desiderio ma in una relazione piena solo del mio principe aguzzino, io rubavo scampoli di tempo da dedicare al mio obiettivo. Quando mi riusciva.

 

Mentre ero assorta nelle parole che si materializzavano veloci sul foglio del word, d’un tratto sobbalzai dalla sedia, era quello là entrato in stanza a farmi sentire la sua roboante presenza nonostante mi girasse intorno in assoluto silenzio. Nella mia testa, però, si faceva sempre più nitida la musica de “Lo squalo”: “dam dam dam dam…”, riuscite a sentirla anche voi?

 

«E’ un’intervista a un cantante», ha bisbigliato la mia voce quando lui si è affacciato nel monitor del portatile con quegli occhi, ormai familiari, che avrebbero intimorito il demonio.

Nessuna sua parola, non un cenno, solo la sensazione di gelo che avvertivo ogni qualvolta preavvisavo l’imminente tempesta che mi avrebbe travolta.

 

Post-it: Il cervello di un manipolatore affettivo vive in stato di premeditazione perenne, (questa più che l’introduzione di un “post-it” sembra quella di una puntata di “Superquark”) pertanto ogni occasione, ogni azione della partner sono appetibili fonti da cui attingere per dare origine a un nuovo colpo da mettere a segno. Ci riesce sempre, lui sa dove e come colpire, ricordiamoci che conosce tutto di noi, soprattutto i punti deboli, ci ha studiate sapientemente già durante la fase ammaliante del Love Bombing. Ecco perché la prevenzione è importante, ora sappiamo che lì sono racchiusi la maggior parte dei campanelli d’allarme.

 

 

Erano passati due giorni dalla notte de “Lo squalo” quando, rientrata a casa, sulla mia scrivania troneggiava spavaldo un pc fisso con un monitor gigante al posto del mio portatile d’argento.

Lui me lo mostrò con quel ghigno maligno che nemmeno se si fosse sforzato tanto avrebbe potuto assomigliare vagamente a un sorriso.

 

«Cos’è questo coso? Dov’è il mio computer?», ho chiesto sconcertata.

«E’ questo il tuo computer!». Ha risposto secco e seccato.

«Non è il mio, non ci sono le mie cose qui dentro e non lo so usare!». Ho osato ribattere più secca di lui e sull’ultima affermazione anche Carrie Bradshaw mi avrebbe compresa appieno.

«Le tue cose non ci sono più, non esistono più!». Eccolo lì di nuovo, Jack Nicholson sulla locandina di Shining. Uguale, anzi no, peggio.

 

Un computer nuovo, vuoto e non predisposto alla connessione Wi-Fi. Abbiamo letto bene, sì, NON predisposto alla connessione Wi-Fi. Dall’alto della mia ignoranza tecnologica non pensavo neppure che esistessero dispositivi con tale opzione, adesso è paradossalmente questa la vera fantascienza.

Ancora una volta impietrita stentavo a capacitarmi che “quella cosa” stesse accadendo realmente. Aveva resettato la mia vita e l’aveva riprogrammata a suo abuso e consumo. Gli restava ancora da resettare il pc, non ci avevo pensato, l’unica cosa rimasta solo mia.

Fatto.

 

A lui, naturalmente, ancora non bastava vedermi sgomenta, nel vortice del vuoto più tetro, aveva bisogno di alzare l’asticella del suo godimento ancora più in alto.

Ha attaccato, dunque, con una delle sue performance migliori, sono sicura fosse anche la sua preferita, si percepiva dalla fierezza che gli si spalmava spocchiosa sulla faccia: i monologhi atti ad infierire senza alcuno scrupolo.

 

«Vuole fare la giornalista, adesso la chiama a scrivere Vanity Fair!» e qui la sua risata si è fatta chiara, sarcastica, fragorosa, denigrante.

«Pensa alle cose serie invece delle solite stupidaggini». Indicandomi quel “coso” asettico più anaffettivo di lui.

«Sei solo un’infantile, tutto quello che vuoi fare tu sono solo stronzate. Non sei nessuno e non sarai mai nessuno, che ti sei messa in testa, non scriverai mai!» sentenziò con tutta la cattiveria che aveva in corpo.

 

Post-it: per i narcisisti patologici la sofferenza provocataci non sarà mai abbastanza. Le nostre reazioni, qualunque tipo di reazione, sono linfa vitale per il loro ego fallito e frustrato sotto mentite spoglie di onnipotente. Nel loro DNA non esiste una sola cellula che contenga empatia, anzi, arrecarci dolore è la loro priorità vitale, tant’è vero che più saremo disperate più sarà grande il loro piacere.

Ma tutto questo non dovrebbe farci solo desiderare di scappare il più lontano possibile da questi individui, invece di restare a farci massacrare?!

 

A questo punto del manuale lo sappiamo che, in teoria, la parola magica è “razionalità”, se riuscissimo a metterla anche in pratica ci renderemmo conto che, in realtà, l’arma più letale per colpire e affondare ce l’abbiamo noi e non loro: l’indifferenza.

 

Se esiste qualcosa che possa minare il controllo totale sulla nostra vita o che possa solo distogliere la nostra attenzione dalla loro persona, allora quella cosa va disintegrata quanto prima.

Hanno il bisogno smisurato di essere il fulcro della nostra esistenza, proprio come hanno fatto con noi nel “love bombing”.

 

Riflettiamoci insieme. È vero che ci sentivamo al centro del mondo quando loro si sono insinuati amorevol-Mente in tutte le aree della nostra quotidianità?

Immaginiamo quei giorni da sogno come fossero un tutorial personalizzato montato ad arte per noi. Durante il bombardamento d’amore, quando ipnotizzate dal suono dei violini come fossimo serpenti al cospetto degli incantatori, i manipolatori ci stanno indottrinando su come ricambiare una volta che loro avranno gettato la maschera.

 

E se il controllo è il primo intento che hanno, il secondo è quello di annientarci. Le tecniche con cui mettono in atto il maleficio premeditato stiamo scoprendo essere varie, tra queste c’è anche la svalutazione. Controllo e svalutazione, una combo micidiale.

 

Ivana Napolitano ci spiega le dinamiche del controllo e la svalutazione in una relazione tossica.

 

«In una relazione tossica il manipolatore risulta ipercontrollante nei riguardi della sua partner in quanto, per poter agire machiavellicamente e strategicamente deve evitare che qualcosa esuli dal suo dominio, impone infatti il suo pensiero in ogni aspetto della vita della sua donna.

 

Lo stile di tali relazioni patologiche è dispotico e repressivo: il manipolatore limita la sua donna, la schiaccia, la deprime rendendola dipendente e poco intraprendente, incapace di reagire alle ingiustizie ed ha il solo obiettivo di indurla ad accettare i suoi dettami, la sua volontà totalitaria.

 

Dopo il corteggiamento spietato del love bombing il manipolatore cambia gioco. La persona che inizialmente era sembrata come il “Salvatore”, l’amore tanto atteso di una vita, l’uomo speciale, dopo poco è la stessa che maltratta, mente, annienta la sua e solo sua isolata donna.

Il manipolatore di solito possiede un falso “sé”, per sopravvivere psicologicamente ha bisogno dell’altro e della sua costante approvazione, tutto ciò che crea è menzognero e sostenuto dalla sua incapacità di provare sentimenti autentici. La sua “preda” ha due funzioni precise: sostenere il suo precario “ego” con annessi imposti e incondizionati e rappresentare il contenitore delle sue frustrazioni dove egli proietterà, con cattiveria e rabbia, offese e denigrazioni, sentimenti intollerabili quando rivolti a sé stesso»

 

 

Difatti mi definivo il suo “sfogatoio”.

 

 

Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa sì che non sia la tua mente.”

                                                                                                                (Dalai Lama)                              

 

Della citazione del Dalai Lama dovremmo farne un mantra fino a non permettere tassativamente di essere l’indifferenziata di questi soggetti patologici. Memorandum valido non solo per le relazioni sentimentali trattate qui nel manuale ma anche in quelle familiari, lavorative e di amicizia trattate nel blog www.amorevolmente.com.

 

In ogni caso, ho passato i giorni successivi all’arrivo del gigante asettico sulla scrivania a fare la caccia al tesoro. Perlustravo la casa da cima a fondo, mi alzavo di notte per cercarlo ma del mio computer nemmeno l’ombra.

 

“Aaah, lo sgabuzzino!”, perché mai non ho pensato allo sgabuzzino?!

 

Niente, nemmeno lì. Quanta rabbia, quanta frustrazione. Ho alzato gli occhi al cielo, più per sconfitta che per intuizione, ed eccola, la tracolla della “sobria” borsa fucsia, che custodiva il mio pc, venutami in soccorso penzolando in un piccolo lembo dallo scaffale più alto, raggiungibile solo con lo scaletto.

 

Sollievo, orrore e felicità, si abbracciavano e si scazzottavano, allo stesso tempo, nel mio cuore e nella mia testa mentre ripercorrevo a ritroso l’intera storia con il tipo come succede nei film.

No, no e no, l’attrice protagonista non potevo, non dovevo e non volevo più essere io.

Nelle sue mani ero diventata questo, insieme all’unica cosa che mi apparteneva, un oggetto da mettere via, sullo scaffale più alto, quello su cui ammuffirà per sempre la roba inutile.

Non so per quanto tempo sia rimasta con il naso in su a fissare quel cumulo di “nulla” che nascondeva, non del tutto, il mio tesoro.

Ero stata ancora una volta umiliata, derisa, svilita e da chi poi? Da uno che a conti fatti si sentiva più fallito di me e a cui ho permesso di camuffarsi da Dio.

Come avevo potuto permettere e accettare quelle pazzie da un essere così infimo?

In quel preciso istante sono stata schiaffeggiata e riportata alla realtà dai miei lucidi “che cazzo ci faccio ancora qui?!”.

 

In quel preciso istante ho ridimensionato il padrone abusivo della mia vita a ciò che era realmente: NIENTE.

 

È stato in quel preciso istante che ho deciso che presto sarei scappata via da quella casa.

E così è stato.

 

Vanity Fair non è mai stato nei miei piani come di sicuro non sarò mai nessuno se non, semplicemente, Vanna Morra ma oggi scrivo da giornalista e la scrittura è diventata una delle mie professioni.

Sesto Girone

“Controllo e Svalutazione”

Erano le due di notte, ero al buio seduta alla scrivania, solo la luce bianca di una lampada faceva da occhio di bue al computer. Scrivevo un articolo da aggiungere agli altri affinché, a fine percorso, potessi iscrivere il mio nome all’albo dei giornalisti.

 

La scrittura mi accompagna sin da piccola, è una necessità fisiologica prima ancora che una passione. Mia imprescindibile migliore amica, le ho affidato le mie più intime confidenze, è lei da sempre e per sempre il mio sostegno quando ho sentito e ancora sento l’esigenza di scavare nelle mie emozioni ed estrarne i sentimenti.

 

Il traguardo era il tesserino, era un mio pallino da tempo, non avrei pensato si potesse concretizzare e invece… Ormai da un po’ scrivevo e firmavo pezzi da quasi professionista e finalmente avrei potuto realizzare il mio desiderio ma in una relazione piena solo del mio principe aguzzino, io rubavo scampoli di tempo da dedicare al mio obiettivo. Quando mi riusciva.

 

Mentre ero assorta nelle parole che si materializzavano veloci sul foglio del word, d’un tratto sobbalzai dalla sedia, era quello là entrato in stanza a farmi sentire la sua roboante presenza nonostante mi girasse intorno in assoluto silenzio. Nella mia testa, però, si faceva sempre più nitida la musica de “Lo squalo”: “dam dam dam dam…”, riuscite a sentirla anche voi?

 

«E’ un’intervista a un cantante», ha bisbigliato la mia voce quando lui si è affacciato nel monitor del portatile con quegli occhi, ormai familiari, che avrebbero intimorito il demonio.

Nessuna sua parola, non un cenno, solo la sensazione di gelo che avvertivo ogni qualvolta preavvisavo l’imminente tempesta che mi avrebbe travolta.

 

Post-it: Il cervello di un manipolatore affettivo vive in stato di premeditazione perenne, (questa più che l’introduzione di un “post-it” sembra quella di una puntata di “Superquark”) pertanto ogni occasione, ogni azione della partner sono appetibili fonti da cui attingere per dare origine a un nuovo colpo da mettere a segno. Ci riesce sempre, lui sa dove e come colpire, ricordiamoci che conosce tutto di noi, soprattutto i punti deboli, ci ha studiate sapientemente già durante la fase ammaliante del Love Bombing. Ecco perché la prevenzione è importante, ora sappiamo che lì sono racchiusi la maggior parte dei campanelli d’allarme.

 

 

Erano passati due giorni dalla notte de “Lo squalo” quando, rientrata a casa, sulla mia scrivania troneggiava spavaldo un pc fisso con un monitor gigante al posto del mio portatile d’argento.

Lui me lo mostrò con quel ghigno maligno che nemmeno se si fosse sforzato tanto avrebbe potuto assomigliare vagamente a un sorriso.

 

«Cos’è questo coso? Dov’è il mio computer?», ho chiesto sconcertata.

«E’ questo il tuo computer!». Ha risposto secco e seccato.

«Non è il mio, non ci sono le mie cose qui dentro e non lo so usare!». Ho osato ribattere più secca di lui e sull’ultima affermazione anche Carrie Bradshaw mi avrebbe compresa appieno.

«Le tue cose non ci sono più, non esistono più!». Eccolo lì di nuovo, Jack Nicholson sulla locandina di Shining. Uguale, anzi no, peggio.

 

Un computer nuovo, vuoto e non predisposto alla connessione Wi-Fi. Abbiamo letto bene, sì, NON predisposto alla connessione Wi-Fi. Dall’alto della mia ignoranza tecnologica non pensavo neppure che esistessero dispositivi con tale opzione, adesso è paradossalmente questa la vera fantascienza.

Ancora una volta impietrita stentavo a capacitarmi che “quella cosa” stesse accadendo realmente. Aveva resettato la mia vita e l’aveva riprogrammata a suo abuso e consumo. Gli restava ancora da resettare il pc, non ci avevo pensato, l’unica cosa rimasta solo mia.

Fatto.

 

A lui, naturalmente, ancora non bastava vedermi sgomenta, nel vortice del vuoto più tetro, aveva bisogno di alzare l’asticella del suo godimento ancora più in alto.

Ha attaccato, dunque, con una delle sue performance migliori, sono sicura fosse anche la sua preferita, si percepiva dalla fierezza che gli si spalmava spocchiosa sulla faccia: i monologhi atti ad infierire senza alcuno scrupolo.

 

«Vuole fare la giornalista, adesso la chiama a scrivere Vanity Fair!» e qui la sua risata si è fatta chiara, sarcastica, fragorosa, denigrante.

«Pensa alle cose serie invece delle solite stupidaggini». Indicandomi quel “coso” asettico più anaffettivo di lui.

«Sei solo un’infantile, tutto quello che vuoi fare tu sono solo stronzate. Non sei nessuno e non sarai mai nessuno, che ti sei messa in testa, non scriverai mai!» sentenziò con tutta la cattiveria che aveva in corpo.

 

Post-it: per i narcisisti patologici la sofferenza provocataci non sarà mai abbastanza. Le nostre reazioni, qualunque tipo di reazione, sono linfa vitale per il loro ego fallito e frustrato sotto mentite spoglie di onnipotente. Nel loro DNA non esiste una sola cellula che contenga empatia, anzi, arrecarci dolore è la loro priorità vitale, tant’è vero che più saremo disperate più sarà grande il loro piacere.

Ma tutto questo non dovrebbe farci solo desiderare di scappare il più lontano possibile da questi individui, invece di restare a farci massacrare?!

 

A questo punto del manuale lo sappiamo che, in teoria, la parola magica è “razionalità”, se riuscissimo a metterla anche in pratica ci renderemmo conto che, in realtà, l’arma più letale per colpire e affondare ce l’abbiamo noi e non loro: l’indifferenza.

 

Se esiste qualcosa che possa minare il controllo totale sulla nostra vita o che possa solo distogliere la nostra attenzione dalla loro persona, allora quella cosa va disintegrata quanto prima.

Hanno il bisogno smisurato di essere il fulcro della nostra esistenza, proprio come hanno fatto con noi nel “love bombing”.

 

Riflettiamoci insieme. È vero che ci sentivamo al centro del mondo quando loro si sono insinuati amorevol-Mente in tutte le aree della nostra quotidianità?

Immaginiamo quei giorni da sogno come fossero un tutorial personalizzato montato ad arte per noi. Durante il bombardamento d’amore, quando ipnotizzate dal suono dei violini come fossimo serpenti al cospetto degli incantatori, i manipolatori ci stanno indottrinando su come ricambiare una volta che loro avranno gettato la maschera.

 

E se il controllo è il primo intento che hanno, il secondo è quello di annientarci. Le tecniche con cui mettono in atto il maleficio premeditato stiamo scoprendo essere varie, tra queste c’è anche la svalutazione. Controllo e svalutazione, una combo micidiale.

 

Ivana Napolitano ci spiega le dinamiche del controllo e la svalutazione in una relazione tossica.

 

«In una relazione tossica il manipolatore risulta ipercontrollante nei riguardi della sua partner in quanto, per poter agire machiavellicamente e strategicamente deve evitare che qualcosa esuli dal suo dominio, impone infatti il suo pensiero in ogni aspetto della vita della sua donna.

 

Lo stile di tali relazioni patologiche è dispotico e repressivo: il manipolatore limita la sua donna, la schiaccia, la deprime rendendola dipendente e poco intraprendente, incapace di reagire alle ingiustizie ed ha il solo obiettivo di indurla ad accettare i suoi dettami, la sua volontà totalitaria.

 

Dopo il corteggiamento spietato del love bombing il manipolatore cambia gioco. La persona che inizialmente era sembrata come il “Salvatore”, l’amore tanto atteso di una vita, l’uomo speciale, dopo poco è la stessa che maltratta, mente, annienta la sua e solo sua isolata donna.

Il manipolatore di solito possiede un falso “sé”, per sopravvivere psicologicamente ha bisogno dell’altro e della sua costante approvazione, tutto ciò che crea è menzognero e sostenuto dalla sua incapacità di provare sentimenti autentici. La sua “preda” ha due funzioni precise: sostenere il suo precario “ego” con annessi imposti e incondizionati e rappresentare il contenitore delle sue frustrazioni dove egli proietterà, con cattiveria e rabbia, offese e denigrazioni, sentimenti intollerabili quando rivolti a sé stesso»

 

 

Difatti mi definivo il suo “sfogatoio”.

 

 

Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa sì che non sia la tua mente.”

                                                                                                                (Dalai Lama)                              

 

Della citazione del Dalai Lama dovremmo farne un mantra fino a non permettere tassativamente di essere l’indifferenziata di questi soggetti patologici. Memorandum valido non solo per le relazioni sentimentali trattate qui nel manuale ma anche in quelle familiari, lavorative e di amicizia trattate nel blog www.amorevolmente.com.

 

In ogni caso, ho passato i giorni successivi all’arrivo del gigante asettico sulla scrivania a fare la caccia al tesoro. Perlustravo la casa da cima a fondo, mi alzavo di notte per cercarlo ma del mio computer nemmeno l’ombra.

 

“Aaah, lo sgabuzzino!”, perché mai non ho pensato allo sgabuzzino?!

 

Niente, nemmeno lì. Quanta rabbia, quanta frustrazione. Ho alzato gli occhi al cielo, più per sconfitta che per intuizione, ed eccola, la tracolla della “sobria” borsa fucsia, che custodiva il mio pc, venutami in soccorso penzolando in un piccolo lembo dallo scaffale più alto, raggiungibile solo con lo scaletto.

 

Sollievo, orrore e felicità, si abbracciavano e si scazzottavano, allo stesso tempo, nel mio cuore e nella mia testa mentre ripercorrevo a ritroso l’intera storia con il tipo come succede nei film.

No, no e no, l’attrice protagonista non potevo, non dovevo e non volevo più essere io.

Nelle sue mani ero diventata questo, insieme all’unica cosa che mi apparteneva, un oggetto da mettere via, sullo scaffale più alto, quello su cui ammuffirà per sempre la roba inutile.

Non so per quanto tempo sia rimasta con il naso in su a fissare quel cumulo di “nulla” che nascondeva, non del tutto, il mio tesoro.

Ero stata ancora una volta umiliata, derisa, svilita e da chi poi? Da uno che a conti fatti si sentiva più fallito di me e a cui ho permesso di camuffarsi da Dio.

Come avevo potuto permettere e accettare quelle pazzie da un essere così infimo?

In quel preciso istante sono stata schiaffeggiata e riportata alla realtà dai miei lucidi “che cazzo ci faccio ancora qui?!”.

 

In quel preciso istante ho ridimensionato il padrone abusivo della mia vita a ciò che era realmente: NIENTE.

 

È stato in quel preciso istante che ho deciso che presto sarei scappata via da quella casa.

E così è stato.

 

Vanity Fair non è mai stato nei miei piani come di sicuro non sarò mai nessuno se non, semplicemente, Vanna Morra ma oggi scrivo da giornalista e la scrittura è diventata una delle mie professioni.

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