educare alla non violenza

“Difendere il futuro: Educare alla non violenza” | 25 Novembre 2024 alla Camera dei deputati

educare alla non violenza
educare alla non violenza

“Difendere il futuro:
Educare alla non violenza”

25 Novembre 2024 alla Camera dei deputati

Roma, 18 novembre 2024 – Il 25 Novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, la Sezione Roma Campidoglio della FIDAPA Bpw Italy organizza l’evento “Difendere il futuro: Educare alla non violenza”. L’incontro si terrà presso la Camera dei Deputati, Sala Matteotti, Piazza del Parlamento 19, alle ore 16:00 (ingresso dalle 15.30), e rappresenta un momento di confronto e sensibilizzazione sulla violenza di genere, con particolare attenzione al tema della prevenzione e dell’educazione a comportamenti rispettosi, non aggressivi.

L’incontro si aprirà con i saluti istituzionali dell’Onorevole Elena Bonetti, già Ministra per le pari opportunità e promotrice del convegno, Laura Giannuzzi, Presidente della Sezione Roma Campidoglio FIDAPA BPW Italy, e Grazia Marino, Presidente del Distretto Centro FIDAPA BPW Italy.

Interverranno importanti rappresentanti delle istituzioni, del mondo accademico, associativo e della cultura. Tra i relatori, oltre alle personalità citate, la senatrice Paola Binetti, medico neuropsichiatra e docente universitario, Marietta Tidei, Consigliera Regionale del Lazio e volti noti quali Pegah Moshir Pour, attivista italo-iraniana per i diritti umani, l’attore Marlon Joubert (Parthenope, È stata la mano di Dio, Suburra eterna) il regista e nipote di Massimo Troisi Stefano Veneruso e l’attore, regista e autore teatrale Fabrizio Coniglio. Tra le associazioni Vanna Morra, Amorevolmente e Ivana Napolitano, Vaso di Pandora.

L’incontro sarà moderato da Serena Trivelloni, Camera dei Deputati e Segretaria della Sezione Roma Campidoglio FIDAPA BPW Italy.

L’iniziativa, celebrata in tutto il mondo per dire NO alla violenza di genere, mira a sensibilizzare l’opinione pubblica e a promuovere una cultura di rispetto e uguaglianza, evidenziando il ruolo fondamentale dell’educazione nella prevenzione di comportamenti violenti nei confronti delle donne. Durante l’evento, esperti e testimoni condivideranno riflessioni ed esperienze, sottolineando la necessità di un impegno comune per costruire un futuro libero dalla violenza.

*Per accrediti stampa scrivere una mail a sg_ufficiostampa@camera.it indicando nome, cognome, testata, tesserino ed eventuali attrezzature o collegarsi al portale https://comunicazione.camera.it/accrediti-stampa (primo link per i giornalisti, secondo per operatori e fotografi.

Galleria dell'evento

amorevolmente-al-borgo-locandina

Amorevolmente al Borgo | 20/21 aprile Perito

amorevolmente-al-borgo-locandina

Amorevolmente al Borgo

Un week end di relazioni sane, amor proprio e scoperta del territorio

Relazioni sane e prevenzione alla violenza di genere: quello del 20 e 21 aprile è stato un fine settimana a Perito (Sa), nel Cilento, dedicato all’amore in tutte le sue forme, da quello per sé stessi a quello delle proprie radici e del territorio in un borgo incantevole intriso di storia.

“Amorevolmente al Borgo” si è svolto in un’atmosfera di condivisione, crescita e scoperta, con un ricco programma di attività dedicate alle relazioni sane, all’amore per sé stessi e alle radici e territorio.

L’evento è stato organizzato dall’Associazione I Disinvolti in collaborazione del Comune di Perito e la nostra Associazione Amorevolmente. Un programma di lezioni affettive che ha avuto il suo momento clou sabato 20 con l’apertura di uno spazio di confronto in cui dopo i saluti istituzionali di Antonello Marcelli, vicesindaco di Perito ed Enrico Lava, presidente dell’associazione I Disinvolti, sono intervenute: Maria Pina Cirillo, storica, psicologa dell’arte, con la relazione “Scarpa rossa: perché?”; Vanna Morra, giornalista e Presidente dell’Associazione Amorevolmente che ha commentato col pubblico in sala alcuni brani del libro “amorevol-Mente, pensavo fosse amore invece era un incubo. Come prevenire le relazioni tossiche (Iuppiter Edizioni; Ivana Napolitano, psicologa e psicoterapeuta, che si è soffermata sul concetto di relazione sana. L’incontro è stato moderato da Vanessa Tedesco, event designer e consigliera dell’Associazione I Disinvolti.

L’evento si è chiuso con un toccante “circle time”, il cerchio di condivisione delle proprieesperienze di vita e del week end trascorso e con il pranzo al Ristorante “Da Ersilia” per un viaggio
nei sapori tipici del territorio.

 

Galleria dell'evento

donne-e-uomini-insieme-locandina

Donne e uomini insieme | 12 aprile 2024

donne-e-uomini-insieme-locandina

Donne e uomini insieme

Per l’uguaglianza di genere valorizzando le differenze

Un convegno che ha messo al centro l’uguaglianza di genere organizzato dalla FISTel-CISL Campania al PAN di Via Dei Mille

Il fulcro del convegno è stato la parità dei diritti sul lavoro tra donne e uomini. L’evento ha visto il coinvolgimento di numerosi relatori, tra cui docenti, esponenti delle istituzioni e delle imprese, avvocati, psicologi, che hanno dibattuto su un tema di cruciale importanza per il nostro Paese. Tra questi anche io, Vanna Morra, ho portato la mia testimonianza di violenza di genere attraverso le pagine del libro “amorevol-Mente, pensavo fosse amore invece era un incubo. Come prevenire le relazioni tossiche”. Con me ha presenziato Ivana Napolitano, psicologa e psicoterapeuta di orientamento sistemico relazionale e compagna di viaggio in questo progetto pensato per le scuole. Il convegno si è pregiato della partecipazione di Alessandra Clemente, Consigliera del Comune di Napoli ed è stato coordinato e moderato da Daniela Tschantret, coordinatrice area metropolitana Fistel Cisl.

Galleria dell'evento

Immagine-evidenza-francesco

Francesco

Storie Tossiche

Francesco

State per leggere la storia di Francesco, un ex ristoratore che a 32 anni ha conosciuto la venticinquenne Gabriella nel suo ristorante e meno di un anno più tardi, i due, sono diventati marito e moglie. Oggi Francesco ha quarantacinque anni, non è più un ristoratore e non è più nemmeno il marito di Gabriella.

V: Francesco, raccontaci della sera in cui vi siete conosciuti.

F: All’epoca avevo un ristorante al centro di Napoli. Una sera è arrivata questa ragazza a cena, tra l’altro con un tipo, e subito ci siamo notati. I nostri sguardi si sono incontrati spesso, prima di andare via mi ha lasciato il contatto per la mailing list dei clienti ma abbiamo cominciato a parlare subito di noi, fino a quando non abbiamo deciso di incontrarci ad un evento.

V: Dove parlavate?

F: Su MSN Messenger, quindi la classica conoscenza di chat, poi viene naturale incontrarsi. Noi, comunque, ci eravamo già visti di persona.

V: E il tipo della cena che fine aveva fatto?

F: Era stata la loro prima e ultima uscita, era single. Almeno così mi aveva detto.

V: Di cosa si occupava Gabriella?

F: Faceva l’animatrice nei villaggi turistici. Quando ci siamo conosciuti io venivo da una serie di storie da cui ne sono uscito sempre deluso; quindi, non avevo interesse ad avere una relazione seria. Poi, invece, la storia senza che mi rendessi conto è nata ed è andava avanti. Solo che a lei non bastava, voleva certezze, mi chiedeva di continuo: “Ma noi cosa siamo?”

V: La storia l’avete cominciata subito?

F: Subito, appena ci siamo incontrati, ma tieni conto che siamo stati “virtuali” più o meno cinque mesi.

V: Caspita!

F: Sì, perché all’inizio non siamo stati costanti nella comunicazione. Poi ho avuto un intervento al ginocchio, in convalescenza avevo tanto tempo e siamo diventati sempre più assidui.

V: Che ricordi hai del primo incontro?

F: A fine serata abbiamo fatto sesso.

V: Lei all’inizio voleva sicurezze, te lo chiedo anch’io, per te cosa eravate?

F: Per me ci stavamo frequentando e conoscendo. Lei invece mi pressava, voleva di più, finché non è arrivata l’estate e le ho detto “ti amo” ma non lo sentivo davvero, gliel’ho detto per darle la sicurezza che cercava e anche per paura di perderla in vista del suo lavoro estivo.

V: Ma se non eri convinto del rapporto e non sentivi di amarla perché non volevi perderla?

F: Perché dopo tante relazioni sbagliate era la prima volta in cui mi sentivo davvero voluto, quindi mi dicevo “perché perderla?”. Lei, dopo quel “ti amo”, è stato il primo anno in cui ha rinunciato al lavoro di animatrice. Evidentemente si era tranquillizzata.

V: Quindi avete passato l’estate insieme…

F: L’abbiamo passata insieme tranne i giorni in cui siamo andati in vacanza separati, ognuno con i nostri amici. Nonostante ci sentissimo frequentemente, avendo sviluppato grazie alle altre storie un sesto senso, anche in questo caso sentivo che qualcosa non andasse.

V: I famosi campanelli d’allarme. E cosa non stava andando?

F: Aveva atteggiamenti che mi facevano sospettare che in vacanza avesse conosciuto qualcuno e quindi volevo andare a fondo e non essere preso in giro come altre volte. Così le ho controllato i messaggi nel telefono e ho trovato le prove che cercavo.

 V: Ah, immagino il finimondo!

F: No no, ho provato a farla confessare indagando con domande ma non le ho mai detto che l’avevo scoperta perché intanto continuavo a controllare.

Poi dopo poco la loro storia, se così vogliamo chiamarla, è finita. Pensavo: “vabbè, può capitare, siamo da poco insieme, è la prima estate…” Insomma, non l’avevo vissuta come una cosa grave.

V: Mentre tu ti impegnavi, a lei era bastato essere tranquillizzata. Non hai pensato “l’ha fatto una volta potrebbe farlo ancora”?

F: Sì, certo che lo pensavo anche perché me ne dava modo, tant’è vero che, per dirne una, non voleva che passassi all’università che frequentava. Una volta andai a prenderla ma lo percepivo che le davo fastidio, come se si sentisse invasa nei suoi spazi.

V: Dunque, quando avevi il sentore che qualcosa non andasse riguardava sempre il sospetto del tradimento.

F: Esatto. Da quel “Ti amo” lei ha acquisito sicurezze e a me ne levava sempre di più.

V: E quindi intanto ti eri innamorato per davvero?

F: Perdutamente innamorato mentre vivevo questo malessere costante. A tratti, però, il rapporto ritornava bello, fino a quando lei poi ha avuto un ritardo e abbiamo scoperto che aspettava un figlio.

V: Tu contentissimo?

F: Non proprio! Ero preoccupato, quello non era il momento. Anche lavorativamente le cose stavano attraversando una fase tutt’altro che di picco. Naturalmente non mi sono sottratto e lo abbiamo comunicato alle nostre famiglie e in quell’occasione, purtroppo, ho conosciuto sua madre. Ho scoperto che tutto quello che decideva Gabriella era condizionato da sua madre.

V: Praticamente ti sei accorto che la relazione non l’avevi con lei ma con sua madre.

F: Esattamente! Sua mamma ha deciso che dovevamo sposarci subito perché il bimbo non poteva nascere al di fuori del matrimonio. Essendo in crisi lavorativa non potevamo permetterci una casa, mia madre propose di ospitarci mentre la sua decise di pagare il fitto per una casa solo nostra.

V: Ti sentivi un po’ ricattato?

F: Assolutamente, io ero ricattato! Ad ogni cosa che succedeva, ogni più piccola discussione, mi rinfacciava “I miei ti pagano l’affitto” come se lo pagassero solo a me.

francesco-img1

V: Nel frattempo vi siete sposati?

F: Sì e subito dopo la relazione è diventata un incubo, anche sessualmente si era subito quasi completamente allontanata.

V: Hai pensato che potesse essere tutto programmato da mamma e figlia questo matrimonio?

F: Probabile che all’inizio abbiano pensato: “ecco l’imprenditore per sistemarci” poi l’imprenditore si è trovato in difficoltà e quindi vaffanculo non servi più. Diciamo che qualche volta l’ho pensato ma poi non voglio credere che sia così.

V: Intanto è nato vostro figlio che chiameremo Jacopo.

F: Sì e dalla nascita di Jacopo il rapporto tra me e lei è finito completamente mentre è cominciato  il mio ruolo di papà e “mammo”. Non aveva alcuna cura per il bimbo, gli dava da mangiare solo perché lo allattava. Non aveva la minima cura nemmeno per la casa della quale mi occupavo io, dalle faccende domestiche al cucinare. Intanto, mentre Gabriella pensava esclusivamente a sé stessa, mia suocera continuava a decidere ogni cosa riguardasse la nostra famiglia.

V: Nel frattempo ti sei reso conto che eri in una relazione per nulla sana, suocera compresa?

F: Sapevo solo di essere innamorato perso! Avevo perso ogni briciolo di lucidità e col tempo avevo perso anche l’istinto sessuale poiché lei mi respingeva sempre.

V: Avevi il sospetto ci fosse di nuovo qualcun altro?

F: Sì, anche!

V: C’era comunicazione tra voi?

F: Dapprima poca poi praticamente nulla. Nonostante io sia molto comunicativo, ormai mi ero completamente chiuso. Tra l’altro lei ad un certo punto ha cominciato a lavorare come insegnate di ballo e non ci vedevamo quasi più. Dopo il lavoro si faceva anche le serate nei locali quindi io restavo a casa con nostro figlio dato che, tra l’altro, avevo perso il lavoro. Lei rientrava all’alba e puntualmente mi svegliava con il solito “Dobbiamo parlare!”

V: Di cosa dovevate parlare?

F: Dei suoi problemi. Tipo discussioni con i colleghi e tutto quello che non le andava bene. Mi incolpava di ogni cosa.

V: Non apprezzava mai quello che facevi?

F: Le era dovuto ma nemmeno si rendeva conto perché tanto si svegliava quando andavo a riprendere il bimbo a scuola.

V: E tu eri sempre innamorato…

F: E io ero sempre innamorato. Ma oggi credo, probabilmente, che l’amore che provavo per lei era in realtà l’amore che provavo per mio figlio.

V: Nemmeno col tempo ti sei reso conto di essere in una relazione tossica? Sapevi che esistessero?

F: No, non l’ho mai pensato minimamente, non ne conoscevo l’esistenza.

V: Quanto è durato il vostro matrimonio?

F: Otto anni.

V: Oggi, che sei divorziato ormai da anni, cosa pensi?

F: Oggi penso che comunque non sia colpa sua. Gabriella non ha mai imparato ad amare nella vita, mai imparato ad avere rapporti con gli altri. La madre credo abbia influito pesantemente su questo. Non ha mai avuto amici nemmeno da piccola, tutti si allontanavano da lei o lei ci litigava. Non è capace di avere relazioni di alcun tipo, non ha un briciolo di empatia.

V: Quando hai capito che dovevi andare via?

F: Non l’ho mai capito. Quando ci siamo lasciati io ero quello che lottava per restare insieme.

V: Ah, pensa. E come ha preso forma questa separazione mentre tu lottavi?

F: Ci ha messo tanto a prendere forma. Prima lei mi ha chiesto di andare via, poi mi ha fatto ritornare. Probabilmente aveva problemi di organizzazione e le servivo per la casa e nostro figlio e ovviamente è stato tutto addirittura peggio di prima, anche senza alcun rapporto né sessuale né di coppia. Che le servivo ci sono arrivato sempre a posteriori, perché ci avevo creduto nel ritorno, anzi mi ero proprio illuso.

V: I ritorni sono sempre frutto dell’illusione di ritornare al bello degli albori della storia…

F: In realtà mi illudevo continuamente nonostante il periodo assurdo. Passavamo giornate bellissime dove anche lei sembrava felice ma alla fine di queste doveva sempre ricordarmi che in realtà lei non stava bene e le cose tra noi non andavano. Mi sembrava di impazzire.

V: Ti teneva sempre in allerta con lo spettro della separazione…

F: Sì, me lo ripeteva in continuazione che ci dovevamo separare e io lì sconvolto le dicevo “Ma come?! Siamo stati così bene!” Lei di contro mi rispondeva: “Ma certo, perché tu non capisci niente!”

Ah, durante la fase del ritorno, tra l’altro, ho scoperto di nuovo che aveva un’altra relazione che naturalmente ha sempre negato ma i messaggi che trovavo nel suo telefono dicevano il contrario.

V: Ah, vabbè, proprio una traditrice seriale. Tu l’hai mai tradita?

F: Mai! Almeno no realmente, virtualmente sì, in chat. Ogni tanto dovevo pur sfogarmi.

V: Ma almeno! Credimi, ne sono quasi sollevata.

F: Ora che ti racconto questa cosa non lo sarai più. L’ultima estate passata insieme siamo andati in vacanza e nonostante fossimo anche con le nostre famiglie siamo stati benissimo. Lei sembrava realmente felice e non si è mai lamentata di nulla. Dopo quella vacanza Gabriella sarebbe andata in crociera, solo lei, insieme ad un’amica, quindi in quei giorni andavamo in giro per negozi e mercatini a fare shopping. Le ho regalato un sacco di cose per l’occasione.

V: Hai mai dubitato che non andasse con la sua amica?

F: Ecco, hai capito! Io no perché, tra l’altro, era la fase in cui stavamo proprio bene.

V: E certo, perciò stavate proprio bene!

F: Ad ogni modo al rientro della crociera ha organizzato una serata con delle amiche a casa nostra e io per farle stare più tranquille me ne sono andato con Jacopo dai miei per quella sera. Quando sono ritornato a casa ho scoperto che non era una serata con le amiche.

V: No vabbè, sono scioccata!

F: Aveva organizzato una serata con l’amica, il ragazzo dell’amica e il suo ragazzo, una serata a quattro, la stessa formazione della crociera!

V: Un film! A questo punto è finita?

F: No, siamo andati ancora un po’ avanti, le ho perdonato pure questa cosa qua! Ma era un continuo litigio perché lei, comunque, con me non ci voleva stare.

V: Ma Jacopo ha mai assistito a tutto questo litigare?

F: Certo e così passiamo anche alla violenza fisica. Nell’arco degli anni mi ha colpito con oggetti, mi ha picchiato più volte. Io non reagivo perché altrimenti mi avrebbe pure denunciato. Una volta mi ha picchiato davanti a nostro figlio, quando le ho afferrato le braccia per fermarla lei mi ha accusato di averle messo le mani addosso, raccontandolo a sua madre con tutte le conseguenze che puoi immaginare.

V: E tu ancora volevi stare in questo rapporto?

F: Volevo mantenere a tutti i costi la famiglia mamma, papà, figlio, sì.

V: Quand’è che vi siete separati? Quando hai detto basta?

F: Basta non l’avrei detto. Ci siamo separati perché lei ha voluto, lei è andata avanti in questa cosa, lei è andata dall’avvocato …

V: …perché tu eri ancora innamorato.

F: Sì! E avevo anche paura per mio figlio, se già non se ne prendeva cura stando insieme figuriamoci da separati. Avrei voluto chiederne l’affidamento ma non l’avrei mai ottenuto perché il problema nel problema è che l’uomo non è tutelato sotto questo aspetto, anzi sempre discriminato. La giustizia non esiste per noi perché la mamma può essere anche una stronza o una persona totalmente inadatta per crescere un figlio, però ha ugualmente la possibilità di avere il bambino, con il potere di metterlo pure contro il padre. Così, per non fomentarla ulteriormente, ho scelto la separazione consensuale accettando anche il suo stesso avvocato. Nonostante questo, tieni conto che allora per un periodo sono stato addirittura senza lavoro, mi è stato richiesto comunque il massimo del mantenimento. Quando capitava che ritardavo nel pagamento lei mi mandava l’avvocato, che era anche il mio! Ma ti rendi conto quanto sia tutto estremamente grave?! No, l’uomo non assolutamente tutelato e questo mi fa male.

V: Mi rendo conto, sì. Dimmi, ti prego, che ad un certo punto hai smesso di essere innamorato di questa persona.

F: Sì! Oggi la schifo! Qualche volta mi ha chiesto anche di ritornare ma, per carità, manco morto! Ho gli incubi solo al pensiero!

V: Aaaah! Oggi com’è il vostro rapporto?

F: Il solito rapporto, solo che siamo divorziati. Mentre stiamo bene, si esce insieme con nostro figlio, facciamo cose belle poi si rivolta e fa uscire problemi anche dove non ce ne sono, e io ovviamente sono sempre lo stronzo. Mentre ora la mamma mi ama e ha un apparente rapporto amichevole con me.

V: Secondo te quando hai smesso di essere innamorato di questa persona?

F: Proprio una volta in cui lei ha detto “Qualora poi dovessimo tornare insieme…” ha detto una roba del genere, d’istinto le ho risposto: “No, per carità!” e allora lì ho capito che finalmente avevo smesso. Poi ho scoperto che da prima della separazione lei ha cominciato a bere e ancora oggi spesso è ubriaca.

V: Jacopo se ne rende conto?

F: Penso di sì perchè mi dice spesso che quando si sveglia al mattino trova sua madre crollata sul divano e quando va a scuola, lei, è sempre lì sul divano.

V: Com’è il rapporto con tuo figlio oggi?

F: Almeno questo non è cambiato, è quasi sempre con me e continuo ad occuparmi io di tutto per quanto riguarda lui e non potrei esserne più felice, Jacopo resta la mia unica priorità e non ho mai dubitato di me stesso per quanto riguarda mio figlio, so di essere un bravo papà.

V: Quindi oggi sei convinto che con lei non ci ritorneresti mai più.

F: Mai più! Ma non posso dire di essere uscito dalla relazione tossica perché so bene di esserci ancora dentro, devo per il bene di mio figlio. Oggi mi aiuta il fatto di esserne consapevole e voglio pensare che ne uscirò completamente quando Jacopo sarà indipendente.

V: Almeno la consapevolezza ti fa da cuscinetto

F: Esatto, posso gestire e giostrare sicuramente con lucidità, quando attacca con i pipponi ormai la lascio fare da sola, tutto mi scivola, non mi riguarda più. Queste persone sono vampiri ti succhiano pure l’anima.

V: Oggi come vivi le relazioni?

F: Non le vivo! Non ne ho proprio voglia, ho un vero rifiuto. Non credo più a nulla, non so se capiterà ma non la cerco, non la voglio. Sono tornato allo stato d’animo che avevo prima di stare con lei ma più amplificato. Posso morire da solo!

V: Mi auguro un giorno tu possa essere smentito. Questa esperienza insegna?

F: Mi ha insegnato a capire bene cosa c’è dietro a queste persone e le dinamiche con le quali operano. I famosi campanelli d’allarme, almeno quelli, ora li riconosco. Cogliere segnali e riconoscere le dinamiche di questi rapporti è fondamentale.

V: Veramente non hai mai raccontato nulla a nessuno di questa storia?

F: Mai, mai! È la prima volta.

V: Ti comprendo perfettamente, ho fatto lo stesso anche io ma ora sappiamo anche che, invece, parlarne è necessario. Grazie infinite per questa testimonianza.

paola-storietossiche-web

Paola

Storie Tossiche

Paola

Questa è la testimonianza di Paola, napoletana quarantaquattrenne, controllore di volo dalla personalità libera ed estremamente indipendente. L’esperienza che ci racconta invece risale a 18 anni fa quando di anni ne aveva 26 e faceva la cameriera in un ristorante di Londra prima di intraprendere la sua carriera negli aeroporti.

V: Come vi siete conosciuti tu e lui?

P: Entrambi eravamo arrivati a Londra da poco, lui dalla Malesia io dall’Italia, da Napoli. Eravamo colleghi in un ristorante, io lavoravo in sala, lui in cucina. Esteticamente all’inizio nemmeno mi piaceva e invece ad un certo punto iniziò a piacermi.

V: Cosa ha iniziato a piacerti?

P: Mi ha preso, man mano, la sua personalità, i suoi modi di fare. Era chiacchierone, sempre sorridente, disponibile, pensa che il primo impatto era quello di avere davanti una persona dolce e allegra.

V: Tu come stavi emotivamente?

P: Lavorativamente non ero soddisfatta, non volevo fare la cameriera, l’aeroporto è sempre stato il mio sogno ma sapevo che prima o poi si sarebbe realizzato. A parte questo è stato un bellissimo periodo della mia vita, a Londra ho conosciuto tanta gente, ricordo le uscite, la libertà, le nuove amicizie, avevo 26 anni ero giovane ed era tutto bello, mi rendeva felice anche il fatto di stare lì da sola.

V: Sei ed eri anche allora uno spirito libero con la voglia di indipendenza, immagino anche senza necessità di avere un uomo accanto.

P: No mai avuta, anzi ti dico che quando sono partita ero fidanzata da due anni a Napoli. Probabilmente non ero abbastanza innamorata, non so, fatto sta che sentivo solo la necessità di andare via da una città che mi stava stretta.

V: Prima hai detto che all’inizio non ti piaceva. Lui, invece, ti ha notata?

P: Probabilmente sì. Ma sai anche perché? È una cosa che ho notato frequentando lui e i suoi amici, essendo malesiani di origine srilankesi sono molto attratti dalle donne europee proprio perché sono più indipendenti rispetto alle donne del loro paese. Sono convinta che abbia gettato anche più ami, mentre dava attenzioni a me.

V: E quando l’interesse è diventato reciproco?

P: Lavoravamo insieme, dopo il lavoro si usciva in gruppo tra colleghi e amici, mi corteggiava, mi dava attenzioni… credo sia successo gradualmente senza che me ne rendessi conto.

V: Attenzioni sì ma non siamo di fronte a un love bombing plateale, mi pare di capire.

P: No, infatti, attenzioni tante ma mai assillanti. Però considera che la storia è cominciata abbastanza presto, dopo 5 mesi che ci siamo conosciuti già vivevamo insieme e da quel momento fino alla fine non ci siamo staccati mai più, la chiamavo simbiosi. Lui non usciva nemmeno più da solo, eh?! Ero più io che magari dopo il lavoro uscivo con qualche collega perché finivo il turno prima.

V: A lui faceva piacere questa cosa?

P: No, lui non voleva. Finiva di lavorare dopo di me. Accettava questa cosa perché la facevo e basta ma comunque dovevo farmi trovare a casa quando lui rientrava.

V: Non hai pensato a una forma di controllo?

P: No, all’inizio non l’avevo capito. Non ricordo le tempistiche ma più o meno all’inizio ci sono stati due episodi che avrebbero dovuto farmi capire che tipo di persona fosse ma nonostante la gravità, invece, ho lasciato correre.

V: Din din din… i campanelli d’allarme.

P: Eh, sì. Convivevamo da poco ed è arrivato il primo schiaffo. Invece nell’episodio che ora ti racconto non vivevamo ancora insieme. Andammo ad una festa in un locale, lui litigò con un tipo, un collega tra l’altro, ricordo la scena in cui prende un posacenere per spaccarglielo in testa. Cosa che non gli è riuscita perché c’è stata gente che è intervenuta impedendoglielo.

V: Altrimenti l’avrebbe fatto davvero?

P: Sì! Quella sera lui poi è venuto a casa mia ed è stato male tutta la notte, io cercavo di calmarlo ma lui era così rabbioso che non ci riuscivo. Nemmeno i miei coinquilini riuscivano a calmarlo, lui stava male perché non era riuscito a spaccare il posacenere in testa a quel tipo. Non era incazzato con me, non mi ha assolutamente toccata ma avrei dovuto pensare che di base fosse una persona violenta. Non l’ho pensato, ero solo incredula.

V: Quando avete pensato alla convivenza?

P: Eravamo già in questa sorta di simbiosi pur non abitando nella stessa casa, ci è venuto automatico prenderne una insieme. Ero innamoratissima.

V: Il passaggio da “Lui mi piace” a “Ne sono innamoratissima”?

P: Probabilmente il sesso ha fatto la sua parte, tra noi c’è stata sempre una forte chimica. Pensa che io ero ancora fidanzata con il mio ragazzo italiano quando avevo cominciato la storia con lui. Non ricordo nemmeno il primo bacio ma la prima volta che abbiamo fatto sesso sì.

V: Ah, già, il fidanzato italiano!

P: Quando venne a trovarmi il mio fidanzato non riuscii a starci insieme fisicamente e quando ritornò la volta seguente lo lasciai. Lì mi resi conto della differenza della chimica, del trasporto, per la serie “Non avevo provato niente fino ad ora!”

V: Quanto è durata questa storia?

P: Quattro anni.

V: Passiamo alla convivenza… abbiamo lasciato in sospeso l’episodio del primo schiaffo.

P: Sì, vivevamo da poco insieme, ci eravamo messi a letto e “sbam!”, arrivò questo schiaffo. Perché eravamo usciti e probabilmente avrò scambiato una parola con qualcuno ma ancora oggi ne ignoro il motivo. Ricordo che fuori al locale con un gesto, forse una spinta o già un tentativo di schiaffo, mi strappò via la fascia che avevo nei capelli. Già lì, chiedevo cosa fosse successo e perché si stesse comportando in quel modo ma lui niente, non una parola, cambiò espressione. Cominciò a trasformarsi, non so come spiegartelo.

V: Ti assicuro che non hai bisogno di spiegarmelo, le conosco bene quelle trasformazioni, posso solo comprendere.

P: Mi trovavo davanti ogni volta due persone totalmente opposte l’una dall’altra. Comunque, rientrammo a casa e ci mettemmo a letto che lui era ancora incazzato nero; dunque, riprovai a chiedere spiegazioni ripercorrendo la serata nella mia mente e mi arrivò di risposta solo questo schiaffo. Dopodiché mentre ero sconvolta e in lacrime lui mi abbracciò e mi chiese scusa. Ecco le due persone opposte che intendevo.

V: “Ogni volta”, quindi al primo schiaffo ne sono seguiti altri?

P: Si, spesso. Si è rivelato da quel momento in poi effettivamente un uomo violento. E se non era violenza fisica era violenza verbale, umiliazioni e insulti per nulla. Una sera andammo a ballare, uscivamo spesso soli, lui si allontanò per andare a prendere da bere, un ragazzo italiano mi si avvicinò e voleva chiacchierare, ricordo di avergli detto così: “Ti dispiace allontanarti perché non sia mai il mio ragazzo mi vede parlare con qualcuno.” Ero terrorizzata.

V: Terribile!

P: Sì, questa cosa me la ricordo come fosse ieri, sono quelle cose che ti restano impresse, percepisco ancora distintamente il terrore che mi prese quando questo ragazzo mi si avvicinò. Se ci penso oggi non sta né in cielo né in terra, invece io l’ho fatto perché lì non sai come può finire, anzi in realtà lo sai e cerchi di evitarlo in tutti i modi. Nonostante tutto però c’era sempre questa simbiosi tra noi.

V: E nonostante questo terrore ti sentivi sempre innamorata?

P: Sì, profondamente.

V: Non ha mai vacillato questo sentimento d’amore nei suoi confronti?

P: Ah sì sì ma è venuto molto dopo. Certo vacilli nel sentimento e sei molto più concentrata sul da farsi perché ad un certo punto lo sai che qualcosa devi fare. Avrei davvero voluto andare via ma non ci riuscivo. Ero confusa, cercavo sempre di riportare la relazione al all’idillio dell’inizio. Perché i quattro anni di inferno hanno avuto degli intervalli di cose belle e lì hai la speranza che il brutto sia alle spalle una volta per tutte. Invece ad ogni episodio si rivelava sempre peggio. Ci sono state volte in cui non sono rientrata a casa con lui, una sera in particolare mi ha picchiata durante una lite per strada, riuscii a scappare e rifugiarmi in un albergo.

V: E lui?

P: Aveva sempre reazioni che riscontravo e scontavo quando poi ritornavo a casa. Nel caso di questa particolare notte mi fece sparire il passaporto, non l’ho trovato per un bel po’, poi me l’ha restituito. Durante le mie assenze le minacce telefoniche su tutto quello che mi avrebbe fatto appena gli sarei stata di nuovo sottomano erano continue. Una volta trovai la mia biancheria intima tagliata, te l’avevo accennato.

V: Sì, ce lo racconti?

P: Tutta tagliata a pezzettini. Lui mi regalava tante cose intime, aprii il mio cassetto della biancheria e la trovai in versione coriandoli.

Poi, sai, ricordo perfettamente gli episodi di violenza ma non riesco a collegarne i motivi che li scatenavano, probabilmente perché erano sempre motivi futili e forse, a volte, non c’erano nemmeno quelli.

V: Ecco appunto, non li ricordi perché fondamentalmente i motivi non ci sono. Per loro ci sono solo pretesti e ogni pretesto è ottimo per innescare reazioni.

P: Esatto, i motivi erano “perché ti sei vestita così”, “perché sei uscita”, “perché hai chiacchierato con un cliente o addirittura gli hai sorriso” …Prendevo ordinazioni ai tavoli, cos’altro avrei potuto fare?! Per non parlare dei complimenti da parte di altre persone, uomini o donne che fossero. Una volta una donna in un negozio mi disse che ero bella e lui rispose “Roba da metterle il burqa”. E quella volta che i nostri amici organizzarono una giornata all’acqua park e non ci siamo andati perché “tu in costume non ti ci metti!” Ti rendi conto?!

V: Eh sì, mi rendo conto. E queste cose le hai accettate per il famoso quieto vivere…

P: Le accettavo ma poi il mio carattere in qualche modo provava a venire fuori, tante litigate si innescavano perché spesso io facevo ciò che mi impediva di fare. Non voleva che frequentassi le mie due migliori amiche, non le tollerava, una era mezza troia l’altra beveva troppo e quindi non andavano bene per me ma ovviamente non era vero.

V: Certo, le persone che ci circondano non vanno mai bene. E si procede verso l’isolamento.

P: Sì, anche perché temi le umiliazioni e cerchi di evitarle. Una sera siamo usciti con una mia amica e il suo ragazzo, a cena al ristorante mi mollò uno schiaffo così davanti a loro all’improvviso, chissà cosa avrò detto. Davanti agli altri mi faceva fare sempre brutte figure, mi trattava malissimo. Una volta mi puntò un coltello in faccia.

V: Un coltello… davanti ad altre persone?

P: No, eravamo a casa da soli, è che mi stanno venendo in mente episodi a raffica mentre parliamo. Eravamo sul divano.

V: Quindi non è stato un raptus mentre ce l’aveva già in mano che tagliava qualcosa.

P: No no, durante una discussione si è alzato dal divano ed è andato a prendere un coltello. A casa si scatenava proprio. Diventava una furia, pensa che avevamo due buchi nella parete, l’aveva bucata con i pugni. Immagina la forza che aveva.

V: Questi episodi ti hanno fatto capire che eri impelagata in una relazione tossica?

P: Ci sono arrivata molto dopo, non l’avevo capito nemmeno standoci dentro. Ho realizzato che dovevo andarmene perché era diventato estremamente pericoloso. All’inizio è stato tutto bello e veloce, l’episodio del posacenere non l’avevo avvertito come campanello d’allarme, non vai all’idea che la stessa persona che non ha spaccato il posacenere in testa a quel tipo un giorno ti avrebbe messo le mani addosso e ti avrebbe reso la vita un inferno. No, non ci pensi. Ad un certo punto, però, ero così satura che ho avuto persino un rifiuto sessuale nei suoi confronti, non mi era mai capitato, era verso la fine della relazione e pensai “ah, finalmente!”.

V: Neppure al primo schiaffo hai pensato: “succederà ancora”?

P: Sì, lì ci pensi. È quello che ho vissuto più male. Ero innamorata. Al primo schiaffo in teoria dovresti andare via ma non succede, non lo fai, almeno io non l’ho fatto. Pensi prima che sia un episodio singolare o addirittura che davvero hai fatto qualcosa per meritare quello schiaffo.

V: Hai detto che comunque i momenti belli li avete vissuti, il tuo malessere si alternava in base a quei momenti o restava comunque costante?

P: No, non si alternava, quello ce l’hai sempre. Il malessere quando ti arriva è costante nonostante i momenti belli perché tu ormai entri in un loop e sai che prima o poi la reazione si scatenerà, stai sempre sul chi va là e non sei mai più te stessa

V: La fine della relazione com’è avvenuta? E lui l’ha accettata?

P: No assolutamente. Ho preso casa per fatti miei e subito dopo sono andata in vacanza con un’amica. Mi ha fatto passare l’inferno, mi telefonava e messaggiava di continuo insultandomi e minacciandomi e io piangevo, ho pianto per tutta la vacanza perché ero riuscita a staccarmi ma ne ero innamorata. Quando sono tornata ho fatto il trasloco definitivo in un’altra casa durante il quale ci sono stati anche dei rapporti intimi tra noi ma sono andata ugualmente fino in fondo. Qualche volta mi chiamava dalla metro e minacciava di ammazzarsi. Ovviamente non si è ammazzato.

V: E com’è andata a finire?

P: Quando ho lasciato definitivamente casa è andato via, è ritornato in Malesia. Ah, e manca un particolare: quando ci siamo lasciati mentre lui faceva su e giù Londra-Malesia, prima di ritrasferirsi definitivamente nel suo Paese, ha messo incinta l’ex moglie mentre non voleva che lo lasciassi. L’ho saputo dopo, mi ha mandato una foto con suo figlio.

V: Perché negli anni ti ha cercata ancora?

P: Sì, sempre. O direttamente o tramite altre persone. Poi dopo dieci anni mi ha inviato la foto di un altro figlio avuto con un’altra donna ancora. L’ultima volta che mi ha cercata è stata tre anni fa. Non gli ho mai risposto e ho bloccato il suo ennesimo numero.

V: Abbiamo ripercorso la storia, ti chiedo ancora: era amore?

P: Sì! Io penso di averlo amato nonostante tutto mentre lui sicuramente era una persona disturbata. Di fondo è quello che ha vissuto in famiglia da quello che raccontava, mi parlava del papà che era violento con la mamma. Ho saputo in seguito che lui era violento anche con l’ex moglie.

V: Pensi che questa storia ti abbia lasciato qualche trauma?

P: Gli uomini con me non possono permettersi di alzare la voce, non riesco a tollerarlo. Mi blocco completamente, non riesco a reagire se alzi la voce.

V: Dopo di lui hai avuto altre relazioni più o meno serie o lunghe?

Mai più. Mi sono innamorata di un uomo sposato e abbiamo avuto una lunga storia ma non posso definirla una relazione mia assolutamente. Chissà che non faccia parte di una reazione al trauma subito, ci sto riflettendo in questo momento.

V: Cosa ti ha lasciato questa storia?

P: I primi anni ci ho pensato tanto a lui, ci ho pianto, addirittura mi mancava nonostante vedessi anche altri uomini. Poi è passato, non so nemmeno quando esattamente.

V: Oggi ne sei fuori?

P: Sì, da anni ormai. La mia fortuna è stata quella di essere ritornati nelle nostre rispettive città. Nello stesso luogo, se un uomo si fissa, diventa più complicato di sicuro scrollarselo di dosso… anzi chi ha vissuto questa storia con me, amiche e amici intendo, diceva: “Paola, per fortuna è andato via altrimenti non sarebbe finita bene per te”.

V: Come vivi oggi le relazioni?

P: La domanda di riserva c’è?

V: Mmh, vediamo… questa esperienza insegna?

P: Sì! Sono sicura che non mi capiterà mai più un uomo violento. E spero possa essere una testimonianza utile per altre persone.

Roberto-COPERTINA-WEB

Roberto

Storie Tossiche

Roberto

State per leggere una storia decisamente singolare, una doppia relazione tossica vissuta da un’unica persona. È l’esperienza di Roberto, attore quarantenne di Milano e del suo legame con Claudia, veterinaria trentottenne di Bologna.

V: Roberto, un tempo mi sarei stupita del fatto che una personalità forte come la tua, con un profilo professionale e artistico così importante sarebbe rimasto coinvolto in una relazione tossica. Oggi so benissimo che invece…

 R: …che invece la mia personalità è una calamita per donne narcisiste, io ne ho incontrate davvero tante e oggi, dopo l’ultima relazione, l’ho capito.

Si presentano come persone di grandissimo successo e grandissimo valore. Persone che spiccano e brillano all’interno di un contesto sociale e che sono alla ricerca di un rapporto unico, sfavillante perché tutto questo fa sembrare che ci si trovi davanti a un’unione perfetta tra due persone di successo che hanno una loro specialità. I narcisisti, dunque, sono molto attratti da chi fa una professione artistica o di successo, rappresenta per loro un’evoluzione del proprio status.

V: Approfondiamo questa cosa prima di addentrarci nella tua storia.

R: Noi siamo abituati a pensare per macrocategorie, il love bombing per esempio, come se tutto appartenesse ad un unico rituale, invece, è opportuno chiarire che tra un narcisista e l’altro, oltre alla comune attitudine alla manipolazione, c’è da considerare la diversa abilità, cultura e intelligenza dei soggetti, uomini o donne che siano. Ci sono quelli più imbranati, basici che trovano terreno fertile soltanto con persone inesperte, ingenue, sostanzialmente sprovvedute. Ci sono, al contrario, quelli scaltri e sottili che sono molto più difficili da riconoscere, dunque, anche una personalità forte davanti a un narcisista particolarmente abile, non voglio dire cade perché sembra quasi implicare un giudizio di colpa, però, nel legame ci entra.

Non facciamo quindi l’errore di pensare che solo le persone deboli e particolarmente ingenue si facciano irretire da un manipolatore. Credo addirittura sia la forma di narcisismo più diffusa proprio perché è meno plateale.

 V: Raccontaci di Claudia.

R: Claudia, una donna bellissima di 38 anni apparentemente eccezionale, una veterinaria che opera nella clinica di famiglia. Questo lascia comprendere ulteriormente quanto sia efficace la maschera con la quale si presenti. Una persona che cura gli animali la si vede mossa dagli intenti più nobili del mondo, pensi di aver incontrato un’anima dal valore smisurato. Lei era così presente, dolce, premurosa, affettuosa, anche per la spiccata sensibilità di chi svolge questo tipo di professione, pensavo.

Col senno di poi sono arrivato alla conclusione che persino la scelta del lavoro serva a costruire per sé stessa e agli occhi degli altri questa maschera di ego grandioso, lei ha bisogno di un’attività che comunque la faccia sentire una donna straordinaria. In realtà degli animali non gliene frega un cazzo, sono solo oggetti di seduzione per dire a tutti “guardate quanto sono brava, quanto sono sensibile, quanto sono grande, quanto sono meravigliosa”.

V: Il vostro incontro, dove è avvenuto e in che modo?

R: È avvenuto in modo virtuale. Sui social, sia dal punto di vista personale che professionale, sono piuttosto in vista, un’esca abbastanza invitante per le persone con questo tipo di disturbo, perché di disturbo della personalità si tratta. Alcune si sgamano subito per ciò che sono realmente, ti concedi pure l’incontro ma sai bene che non è il caso di approfondire. Nel caso di Claudia, invece, le sue grandi doti e abilità non mi hanno minimamente fatto pensare che potesse essere un soggetto di questo tipo.

 V: E’ durata molto la fase virtuale prima di conoscervi dal vivo?

R: Sì, anche perché lei non vive a Milano, è di Bologna, quindi, c’è stata prima una conoscenza virtuale approfondita. In quella fase lei teneva molto a stabilire un contatto visivo con le videochiamate, teneva a stabilire, prima ancora che ci incontrassimo dal vivo, una sorta di specialità che aveva lo scopo di una prima manipolazione. Per esempio “Quanto mi piace quando indossi i dolcevita” … Sapendo che dovevo fare la videochiamata, mettevo spesso i maglioni dolcevita. Serve a capire quanto tu voglia fare colpo su di loro. Inventano e simulano delle abitudini per farti credere che hanno cose in comune con te. Lo scopo è inculcarti: “Guarda, solo noi due abbiamo questa particolarità, il che significa che siamo diversi dal resto del mondo e uniti da questa cosa”. Claudia ha fatto esattamente così durante la frequentazione dopodiché queste piccole, chiamiamole, manie che ci fondevano le sono sparite proprio perché, in realtà, non le aveva mai avute.

V: Quali sono state le tue sensazioni quando vi siete visti e lei come si è comportata?

R:Ci siamo incontrati qui a Milano, lei bellissima, estremamente magnetica. Abbiamo vissuto una giornata perfetta anche se ho avuto costantemente la sensazione che dicesse e facesse cose solo per impressionarmi, però l’attribuivo al fatto di voler fare colpo, che diciamoci la verità non è peccato all’inizio. Mettere in risalto i nostri aspetti migliori non è patologico, lo è spacciarsi per chi non si è. Lei però usava espressioni che per me poi sono diventati i famosi campanelli d’allarme, tipo: “Mi sembra di conoscerti da sempre”, come se si fosse già inserita in un’eternità e a stabilire l’unicità di questo legame, per dire “Già siamo speciali e perfetti”.

V: Quanto è durata la vostra relazione reale?

R: Sei mesi in tutto.

V: Vissuta più a Milano o Bologna?

R: Per una serie di motivi più a Bologna. Per me è stato massacrante quel periodo in cui facevo l’impossibile per incastrare i miei impegni con i suoi pur di trascorrere più tempo possibile con lei.

V: Lei lo apprezzava?

R: All’inizio sì, poi man mano sembrava che le fosse dovuto.

V: Viveva da sola?

R: Sì. Altra cosa che mi è sembrata strana, lei è divorziata con figli ma i figli vivono con il padre.

V: Non l’avrei detto che stessimo parlando di una mamma. Li hai conosciuti?

R: Me li ha fatti conoscere quasi subito, così come il resto della sua famiglia. Voleva che legassi con i bambini e, a tutti i costi, che gli presentassi i miei genitori ma non ho fatto in tempo. Lei mi accusava che la facessi sentire un’amante non una campagna, abbiamo discusso tanto su questa cosa. I miei amici e colleghi invece li conosceva, è stato naturale presentarglieli.

V: Perché non l’hai presentata ai tuoi?

R: Ho tempi diversi, una compagna la presento ai miei genitori dopo un determinato periodo e in virtù di una relazione solida. Con lei sentivo costantemente che ci fosse qualcosa che non andasse, troppe cose che non mi tornavano.

V: Con i tuoi amici hai rilevato atteggiamenti strani?

R: L’ho capito sempre dopo la relazione. Ci teneva tantissimo, anzi troppo, a dare una buona impressione di sé, non in maniera normale, credimi. Una volta, dopo una cena di lavoro con altri colleghi attori, in cui lei era con me, mi chiedeva di continuo cosa pensassero di lei. Pretendeva che li chiamassi per chiedere loro se gli fosse piaciuta o meno.

Roberto_Storie Tossiche

V: Quando hai cominciato a percepire i primi campanelli d’allarme ed avvertire malessere?

R: Nella fase centrale della relazione, una dissonanza cognitiva assoluta. Per esempio, era un continuo “Ti amo, sei meraviglioso, non avrei potuto incontrare un uomo migliore, la nostra storia è fantastica… però far funzionare una relazione è difficilissimo. Le piccole attenzioni che mi dava nel primo periodo col tempo, poi, sono sparite gradualmente anche se lì per lì non ci ho dato peso. Man mano mi toglieva piccole cose che mi generavano una lieve ma costante inquietudine e quindi un malessere quasi impercettibile ma sempre presente. Dopo l’interruzione del “rinforzo positivo” progressivo arriva in modo brutale e quasi del tutto inaspettato lo scarto che viene attuato addossandoti le responsabilità di ogni cosa e facendoti credere di essere un totale delusione.

Io portavo sulle spalle il senso di colpa di non farla sentire abbastanza amata. Dopo episodi banalissimi a cui lei dava un’importanza immane, mi accusava velatamente di non essere poi l’uomo meraviglioso che credeva che fossi. In seguito a questi pretesti, invece di mandarla a fanculo, reagivo scusandomi per non aver interpretato il suo desiderio. Il fatto è che tra una stranezza e l’altra c’era tanta bellezza, anzi proprio per questo, a volte, credevo che i miei dubbi fossero immotivati e cercavo sempre di riportare la relazione a quella bellezza.

V: Episodi di svalutazione ce ne sono stati? Magari anche riguardo al tuo lavoro?

R: Nel lavoro mai, per come sono fatto io l’avrei mandata a quel paese e lei era scaltra, sapeva benissimo di non potersi spingere oltre quello che faceva, a piccole dosi. Mentre sul piano personale cominciava a togliermi anche autorevolezza, all’inizio ero un uomo meraviglioso come meraviglioso era tutto quello che facevo, invece, dopo cominciò ad avere da ridire anche su dettagli insignificanti come, ad esempio, il mio modo di tagliare il pane. Era cominciata la fase di svalutazione in cui lei era delusa per tutto quanto. Litigavamo? Non sei la persona sensibile che credevo che fossi”. Mi offendevo? Non sei la persona ironica che io pensavo di conoscere” Attenzione, attenzione sempre, alle frasi tipo non sei la persona che credevo che fossi poiché nascondono una chiarissima intenzione manipolatoria.

V: Qual è l’episodio che ti ha fatto più male?

R: Di sicuro il momento in cui mi ha lasciato, tra l’altro l’ha fatto per messaggio e il giorno dopo avermi detto, con tutto “l’amore” che provava per me, che nulla l’avrebbe resa più felice al mondo di avere un figlio con i miei occhi. Sempre a proposito di dissonanze cognitive, il giorno seguente mi ha inviato un vocale su whatsApp dicendomi: “Dovevo capire delle cose e ho capito che non ti amo”, quello che mi ha fatto più male è stato il tono, compiaciuto e cattivo della sua voce.

V: Praticamente un tono da “Ti sto facendo del male e me ne gongolo!”. Totalmente destabilizzante.

R: Esattamente. Infatti, quello che rende dolorosa l’esperienza col narcisista è proprio questo. In una relazione sana, che ad un certo punto va in crisi, la coppia lo sa bene e sa anche, semmai, che se non risolveranno le loro divergenze e che il rapporto potrebbe arrivare al termine. Nella relazione con il narcisista tutto questo non c’è. C’è una persona che fino a un attimo prima ti ha detto che ti ama e progetta di fare un figlio con te e l’attimo dopo ti molla perché non ti ama più. È un trauma!

V: È ritornata? I narcisisti ritornano sempre.

R: Sì, dopo una decina di giorni, con un messaggio di auguri per Natale che si concludeva così: “Spero che un giorno mi perdonerai per il male che ti ho fatto“, proprio come a dire tu non mi manchi un cazzo, io non sto soffrendo, quello che sta soffrendo sei tu. Inizialmente le volevo rispondere con tutta la rabbia che avevo dentro poi con grande autocontrollo le ho risposto: “Ma figurati, avrò sempre un ricordo bello di te.” Ci è rimasta secca, credimi! Lei si aspettava di trovare da questa parte una persona distrutta e reazioni pesanti. Io soffrivo, eh?! Ma mai avrei fatto il suo gioco.

V: Ti credo! Per loro le reazioni di rabbia sono nutrimento assoluto. Tu pensi di averla amata? Dico, anche razionalizzando col senno di poi, credi che per te sia stato proprio un sentimento d’amore?

R: Sì, ne sono convinto. Ho amato la persona che lei ha finto di essere e l’ho amata tanto.

V: Tu ne sei fuori e lo sei con una razionalità e lucidità incredibili.

R: Io ne sono uscito da solo e ho anche ricostruito tutto da solo. Però è necessaria una grandissima capacità analitica.

V: E sei stato eccezionale! Sei l’esempio perfetto di quanto sia fondamentale informarsi su questo fenomeno, analizzarlo ed elaborare l’esperienza. Questo è un “lavoro” che hai fatto tutto post relazione?

R: Sì, post relazione. Ho cominciato ad avere sospetti nella fase finale che sarà durata un mese.

V: Hai praticamente reso i primi sospetti l’inizio della fine.

R: Avevo troppa inquietudine, c’era una voce dentro me che ripeteva che più di qualcosa non andava e, ogni volta, che mettevo Claudia alla prova ne avevo sempre più conferma.

V: Quando hai capito che si trattasse di narcisismo patologico?

R: C’è da dire che prima di questa esperienza non sapevo nemmeno cosa fosse, poi dalla fine della storia ho compreso tanto anche delle relazioni precedenti. Contemporaneamente al fatto che cominciavo a percepire stranezze, ho cominciato per lavoro a studiare il ruolo di un narcisista e da lì ad approfondire l’argomento sia per la parte da recitare che per la mia vita reale.

V: Quindi hai smascherato Claudia, troncato la storia, elaborata e accantonata in tempi brevissimi. Perché ne sei fuori completamente, giusto? Non c’è stato un ritorno?

R: Lei ha provato a sondare il terreno, vedere la mia propensione nei suoi confronti con like e cuori sui social, con messaggi non espliciti ma facendo sentire la sua presenza. Si aspettava che in qualche modo mi facessi avanti io, non che sparissi senza cercarla mai più. Ha subito anche uno smacco constatando, tra le altre cose, che la mia vita stesse andando anche meglio rispetto a quando ero con lei. Miglioramenti in tutti gli aspetti, anche quello fisico, mi sono rimesso in forma perché comunque per tutta una serie di cose mi ero spento e lasciato andare.

V: Hai abbattuto anche la fase del ritorno. Loro tornano sempre e quasi sempre riescono nel loro intento.

Facciamo, però, un piccolo passo indietro perché contemporaneamente a questa storia, e qui arriva il colpo di scena, eri vittima della manipolazione di un’altra persona ma questo l’hai capito solo quando hai messo fine alla relazione con Claudia e hai fatto finalmente chiarezza sugli atteggiamenti tossici in generale.

R: Sì, e adesso entra in gioco quello che chiamo il “cattivo occulto”, occulto perché sembra buono invece è tra i più perfidi. In quel momento ma, in realtà, da tanti anni ero vittima della manipolazione di un uomo con il quale lavoravo spesso e che si è poi rivelato essere la persona più negativa, non solo della mia relazione con Claudia, ma di tutta la mia vita.

V: Raccontaci di questo cattivo che chiamiamo Paolo.

R: È un regista con un passato glorioso e un presente totalmente decadente.

È il più cattivo tra i cattivi perché non lo penseresti mai, è veramente una persona pericolosissima. Con Paolo ci lavoro da anni ed è diventato quasi subito un rapporto simbiotico che ha ben presto prevaricato il normale rapporto tra regista e attore. Sono diventato prima il suo confidente e poi l’incassatore di tutte le sue paturnie, ecco perché dico che, purtroppo, attiro persone tossiche.

V: Perché ribadiamo che i rapporti tossici si sviluppano anche in ambiti diversi da quello sentimentale.

Assolutamente sì. Il narcisismo patologico e i rapporti tossici si riconducono erroneamente sempre e solo alla sfera sentimentale mentre, invece, di quella lavorativa non se ne parla. Tra l’altro non è nemmeno un rapporto uomo/donna ma uomo/uomo, quindi, è ancora più subdolo come indice di pericolosità.

V: In che modo, Paolo, manifestava la sua tossicità?

R: Mi telefonava tutti i giorni, attenzione, tutti i giorni. Le mie giornate cominciavano con la telefonata di Paolo che partiva a raffica con “Eeh, Roberto, qui è finito tutto, tutto fermo, tutto in crisi, tutto morto… hanno distrutto un mercato, non c’è speranza…” Inondandomi con un mare di negatività.

Oppure quando lavoravo a qualche progetto che esulasse da lui?

 “Ah bello, sono felice per te ma va su un’emittente che ha 20 miliardi di telespettatori?”

“No!”

“Eeeh allora stai perdendo tempo, che lo fai a fare? Poi vedrai!”

E te ne potrei fare tanti di questi esempi. Lui mi smorzava l’entusiasmo per un successo mettendomi davanti l’ipotesi di un successo più grande ma del tutto irrealizzabile. Tutte queste cose ti spengono e ti risucchiano energie.

V: Non l’avevi minimamente percepita questa tattica? Pensavi fosse semplicemente parte del suo carattere?

R: Non l’avevo percepita. Io e lui litigavamo spesso, era evidente che fosse una persona negativa e ansiosa ma mai ho pensato che fosse in malafede, mai!

Questa storia è davvero machiavellica. Lei narcisista che vuole farmi credere che il manipolatore sia io, che poi alla fine della storia mi apre involontariamente gli occhi su un rapporto tossico lavorativo preesistente. Sai che oggi la ringrazio perfino? Mi ha permesso di fare chiarezza sulla tossicità di tanti rapporti che avevo.

V: Ti comprendo perfettamente. Paolo interferiva anche nella tua storia?

R: Sì, mi intossicava pure i momenti in cui ero a Bologna da lei, era capace di chiamarmi anche venti volte al giorno per dirmi che alcuni colleghi parlavano male di me. Ma non solo, non guarda in faccia niente e nessuno, interferiva anche nei momenti familiari più delicati. Un pomeriggio attendevo fuori dalla sala operatoria l’esito di un intervento complicato di mio nipote, e lui lo sapeva, mi ha chiamato per discutere di copioni (per film che non sarebbero mai stati girati)

V: Ma pensa! Dunque, oltre alla “modalità succhia energie” quotidiana ti creava realmente problemi al lavoro…

R: Mi faceva terra bruciata intorno, che per uno come me è dolorosissimo perché al mio lavoro ci tengo in modo viscerale, fino a quando non accaddero degli episodi che mi hanno aperto gli occhi. Paolo insisteva sul fatto che alcuni registi mi considerassero un pessimo attore, questo generava in me un malessere enorme, amplificato dal fatto che già vivevo lo stress della mia relazione sentimentale e dal fatto che io, al contrario, nutrivo ammirazione e stima profonda per i registi al quale si riferiva.

V: Carichi su carichi. Come mai non ti sei confrontato con i diretti interessati?

R: Perché Paolo ha collaborato spesso con loro e, ribadisco, non ho mai pensato alla sua malafede credendolo un mio caro amico. Poi è successo che, qualche settimana dopo, questi stessi registi mi hanno chiamato per offrirmi ruoli nei loro film, complimentandosi con me perché era da un po’ che mi studiavano. Quando ho mostrato la mia perplessità visto quello che mi era stato riportato, mi sono stati mostrati i messaggi in cui chiedevano il mio contatto telefonico a Paolo senza ricevere alcuna risposta.

V: Lavori ancora con Paolo?

R: Sì, capita ma ormai sa bene cosa penso di lui. Ho scritto un post su Facebook, forse proprio quello per il quale mi hai contattato tu, quello che trattava l’argomento. Non mi riferivo alla mia ultima compagna ma a Paolo che, tra l’altro, poco più tardi mi ha chiamato per chiedere spiegazioni su quanto avessi pubblicato, aveva capito perfettamente che fosse per lui e gliel’ho confermato.

V: Cazzo, che scoop, non l’avrei mai immaginato di Paolo!

R: È cattivo, lo è ancora di più perché è una vittima di sé stesso. Io gli voglio anche bene ma mi ha fatto troppo male perché poi parliamo di sette anni di manipolazione. Per fortuna ne sono uscito, non indenne perché ci ho perso davvero la salute, ma di sicuro più forte.

V: Secondo te Paolo è consapevole di questi suoi atteggiamenti e della sua personalità?

R: Probabilmente è inconsapevole però ha 60 anni non può non rendersi conto, soprattutto quando poi glielo si dice. Distrugge tutto e smorza qualunque entusiasmo perché nulla è mai sufficiente. Di persone come lui ne esistono tante, troppe, perciò ti dico che forse questa storia è molto più utile dell’altra. Nell’altra ci sono delle particolarità, nel senso che quando si parla di narcisismo si pensa sempre a delle cose macroscopiche, evidenti a tutti, mentre la mia dimostra che non è sempre così, che ci sono delle persone, anche per abilità personali e professionali, che sono capaci di dissimulare e mistificare in modo molto più scaltro. Questa lavorativa invece è ancora più raramente affrontata ed è importante quindi che se ne parli il più possibile.

girone6-web

“Controllo e Svalutazione”

Sesto Girone

“Controllo e Svalutazione”

Erano le due di notte, ero al buio seduta alla scrivania, solo la luce bianca di una lampada faceva da occhio di bue al computer. Scrivevo un articolo da aggiungere agli altri affinché, a fine percorso, potessi iscrivere il mio nome all’albo dei giornalisti.

 

La scrittura mi accompagna sin da piccola, è una necessità fisiologica prima ancora che una passione. Mia imprescindibile migliore amica, le ho affidato le mie più intime confidenze, è lei da sempre e per sempre il mio sostegno quando ho sentito e ancora sento l’esigenza di scavare nelle mie emozioni ed estrarne i sentimenti.

 

Il traguardo era il tesserino, era un mio pallino da tempo, non avrei pensato si potesse concretizzare e invece… Ormai da un po’ scrivevo e firmavo pezzi da quasi professionista e finalmente avrei potuto realizzare il mio desiderio ma in una relazione piena solo del mio principe aguzzino, io rubavo scampoli di tempo da dedicare al mio obiettivo. Quando mi riusciva.

 

Mentre ero assorta nelle parole che si materializzavano veloci sul foglio del word, d’un tratto sobbalzai dalla sedia, era quello là entrato in stanza a farmi sentire la sua roboante presenza nonostante mi girasse intorno in assoluto silenzio. Nella mia testa, però, si faceva sempre più nitida la musica de “Lo squalo”: “dam dam dam dam…”, riuscite a sentirla anche voi?

 

«E’ un’intervista a un cantante», ha bisbigliato la mia voce quando lui si è affacciato nel monitor del portatile con quegli occhi, ormai familiari, che avrebbero intimorito il demonio.

Nessuna sua parola, non un cenno, solo la sensazione di gelo che avvertivo ogni qualvolta preavvisavo l’imminente tempesta che mi avrebbe travolta.

 

Post-it: Il cervello di un manipolatore affettivo vive in stato di premeditazione perenne, (questa più che l’introduzione di un “post-it” sembra quella di una puntata di “Superquark”) pertanto ogni occasione, ogni azione della partner sono appetibili fonti da cui attingere per dare origine a un nuovo colpo da mettere a segno. Ci riesce sempre, lui sa dove e come colpire, ricordiamoci che conosce tutto di noi, soprattutto i punti deboli, ci ha studiate sapientemente già durante la fase ammaliante del Love Bombing. Ecco perché la prevenzione è importante, ora sappiamo che lì sono racchiusi la maggior parte dei campanelli d’allarme.

 

 

Erano passati due giorni dalla notte de “Lo squalo” quando, rientrata a casa, sulla mia scrivania troneggiava spavaldo un pc fisso con un monitor gigante al posto del mio portatile d’argento.

Lui me lo mostrò con quel ghigno maligno che nemmeno se si fosse sforzato tanto avrebbe potuto assomigliare vagamente a un sorriso.

 

«Cos’è questo coso? Dov’è il mio computer?», ho chiesto sconcertata.

«E’ questo il tuo computer!». Ha risposto secco e seccato.

«Non è il mio, non ci sono le mie cose qui dentro e non lo so usare!». Ho osato ribattere più secca di lui e sull’ultima affermazione anche Carrie Bradshaw mi avrebbe compresa appieno.

«Le tue cose non ci sono più, non esistono più!». Eccolo lì di nuovo, Jack Nicholson sulla locandina di Shining. Uguale, anzi no, peggio.

 

Un computer nuovo, vuoto e non predisposto alla connessione Wi-Fi. Abbiamo letto bene, sì, NON predisposto alla connessione Wi-Fi. Dall’alto della mia ignoranza tecnologica non pensavo neppure che esistessero dispositivi con tale opzione, adesso è paradossalmente questa la vera fantascienza.

Ancora una volta impietrita stentavo a capacitarmi che “quella cosa” stesse accadendo realmente. Aveva resettato la mia vita e l’aveva riprogrammata a suo abuso e consumo. Gli restava ancora da resettare il pc, non ci avevo pensato, l’unica cosa rimasta solo mia.

Fatto.

 

A lui, naturalmente, ancora non bastava vedermi sgomenta, nel vortice del vuoto più tetro, aveva bisogno di alzare l’asticella del suo godimento ancora più in alto.

Ha attaccato, dunque, con una delle sue performance migliori, sono sicura fosse anche la sua preferita, si percepiva dalla fierezza che gli si spalmava spocchiosa sulla faccia: i monologhi atti ad infierire senza alcuno scrupolo.

 

«Vuole fare la giornalista, adesso la chiama a scrivere Vanity Fair!» e qui la sua risata si è fatta chiara, sarcastica, fragorosa, denigrante.

«Pensa alle cose serie invece delle solite stupidaggini». Indicandomi quel “coso” asettico più anaffettivo di lui.

«Sei solo un’infantile, tutto quello che vuoi fare tu sono solo stronzate. Non sei nessuno e non sarai mai nessuno, che ti sei messa in testa, non scriverai mai!» sentenziò con tutta la cattiveria che aveva in corpo.

 

Post-it: per i narcisisti patologici la sofferenza provocataci non sarà mai abbastanza. Le nostre reazioni, qualunque tipo di reazione, sono linfa vitale per il loro ego fallito e frustrato sotto mentite spoglie di onnipotente. Nel loro DNA non esiste una sola cellula che contenga empatia, anzi, arrecarci dolore è la loro priorità vitale, tant’è vero che più saremo disperate più sarà grande il loro piacere.

Ma tutto questo non dovrebbe farci solo desiderare di scappare il più lontano possibile da questi individui, invece di restare a farci massacrare?!

 

A questo punto del manuale lo sappiamo che, in teoria, la parola magica è “razionalità”, se riuscissimo a metterla anche in pratica ci renderemmo conto che, in realtà, l’arma più letale per colpire e affondare ce l’abbiamo noi e non loro: l’indifferenza.

 

Se esiste qualcosa che possa minare il controllo totale sulla nostra vita o che possa solo distogliere la nostra attenzione dalla loro persona, allora quella cosa va disintegrata quanto prima.

Hanno il bisogno smisurato di essere il fulcro della nostra esistenza, proprio come hanno fatto con noi nel “love bombing”.

 

Riflettiamoci insieme. È vero che ci sentivamo al centro del mondo quando loro si sono insinuati amorevol-Mente in tutte le aree della nostra quotidianità?

Immaginiamo quei giorni da sogno come fossero un tutorial personalizzato montato ad arte per noi. Durante il bombardamento d’amore, quando ipnotizzate dal suono dei violini come fossimo serpenti al cospetto degli incantatori, i manipolatori ci stanno indottrinando su come ricambiare una volta che loro avranno gettato la maschera.

 

E se il controllo è il primo intento che hanno, il secondo è quello di annientarci. Le tecniche con cui mettono in atto il maleficio premeditato stiamo scoprendo essere varie, tra queste c’è anche la svalutazione. Controllo e svalutazione, una combo micidiale.

 

Ivana Napolitano ci spiega le dinamiche del controllo e la svalutazione in una relazione tossica.

 

«In una relazione tossica il manipolatore risulta ipercontrollante nei riguardi della sua partner in quanto, per poter agire machiavellicamente e strategicamente deve evitare che qualcosa esuli dal suo dominio, impone infatti il suo pensiero in ogni aspetto della vita della sua donna.

 

Lo stile di tali relazioni patologiche è dispotico e repressivo: il manipolatore limita la sua donna, la schiaccia, la deprime rendendola dipendente e poco intraprendente, incapace di reagire alle ingiustizie ed ha il solo obiettivo di indurla ad accettare i suoi dettami, la sua volontà totalitaria.

 

Dopo il corteggiamento spietato del love bombing il manipolatore cambia gioco. La persona che inizialmente era sembrata come il “Salvatore”, l’amore tanto atteso di una vita, l’uomo speciale, dopo poco è la stessa che maltratta, mente, annienta la sua e solo sua isolata donna.

Il manipolatore di solito possiede un falso “sé”, per sopravvivere psicologicamente ha bisogno dell’altro e della sua costante approvazione, tutto ciò che crea è menzognero e sostenuto dalla sua incapacità di provare sentimenti autentici. La sua “preda” ha due funzioni precise: sostenere il suo precario “ego” con annessi imposti e incondizionati e rappresentare il contenitore delle sue frustrazioni dove egli proietterà, con cattiveria e rabbia, offese e denigrazioni, sentimenti intollerabili quando rivolti a sé stesso»

 

 

Difatti mi definivo il suo “sfogatoio”.

 

 

Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa sì che non sia la tua mente.”

                                                                                                                (Dalai Lama)                              

 

Della citazione del Dalai Lama dovremmo farne un mantra fino a non permettere tassativamente di essere l’indifferenziata di questi soggetti patologici. Memorandum valido non solo per le relazioni sentimentali trattate qui nel manuale ma anche in quelle familiari, lavorative e di amicizia trattate nel blog www.amorevolmente.com.

 

In ogni caso, ho passato i giorni successivi all’arrivo del gigante asettico sulla scrivania a fare la caccia al tesoro. Perlustravo la casa da cima a fondo, mi alzavo di notte per cercarlo ma del mio computer nemmeno l’ombra.

 

“Aaah, lo sgabuzzino!”, perché mai non ho pensato allo sgabuzzino?!

 

Niente, nemmeno lì. Quanta rabbia, quanta frustrazione. Ho alzato gli occhi al cielo, più per sconfitta che per intuizione, ed eccola, la tracolla della “sobria” borsa fucsia, che custodiva il mio pc, venutami in soccorso penzolando in un piccolo lembo dallo scaffale più alto, raggiungibile solo con lo scaletto.

 

Sollievo, orrore e felicità, si abbracciavano e si scazzottavano, allo stesso tempo, nel mio cuore e nella mia testa mentre ripercorrevo a ritroso l’intera storia con il tipo come succede nei film.

No, no e no, l’attrice protagonista non potevo, non dovevo e non volevo più essere io.

Nelle sue mani ero diventata questo, insieme all’unica cosa che mi apparteneva, un oggetto da mettere via, sullo scaffale più alto, quello su cui ammuffirà per sempre la roba inutile.

Non so per quanto tempo sia rimasta con il naso in su a fissare quel cumulo di “nulla” che nascondeva, non del tutto, il mio tesoro.

Ero stata ancora una volta umiliata, derisa, svilita e da chi poi? Da uno che a conti fatti si sentiva più fallito di me e a cui ho permesso di camuffarsi da Dio.

Come avevo potuto permettere e accettare quelle pazzie da un essere così infimo?

In quel preciso istante sono stata schiaffeggiata e riportata alla realtà dai miei lucidi “che cazzo ci faccio ancora qui?!”.

 

In quel preciso istante ho ridimensionato il padrone abusivo della mia vita a ciò che era realmente: NIENTE.

 

È stato in quel preciso istante che ho deciso che presto sarei scappata via da quella casa.

E così è stato.

 

Vanity Fair non è mai stato nei miei piani come di sicuro non sarò mai nessuno se non, semplicemente, Vanna Morra ma oggi scrivo da giornalista e la scrittura è diventata una delle mie professioni.

Sesto Girone

“Controllo e Svalutazione”

Erano le due di notte, ero al buio seduta alla scrivania, solo la luce bianca di una lampada faceva da occhio di bue al computer. Scrivevo un articolo da aggiungere agli altri affinché, a fine percorso, potessi iscrivere il mio nome all’albo dei giornalisti.

 

La scrittura mi accompagna sin da piccola, è una necessità fisiologica prima ancora che una passione. Mia imprescindibile migliore amica, le ho affidato le mie più intime confidenze, è lei da sempre e per sempre il mio sostegno quando ho sentito e ancora sento l’esigenza di scavare nelle mie emozioni ed estrarne i sentimenti.

 

Il traguardo era il tesserino, era un mio pallino da tempo, non avrei pensato si potesse concretizzare e invece… Ormai da un po’ scrivevo e firmavo pezzi da quasi professionista e finalmente avrei potuto realizzare il mio desiderio ma in una relazione piena solo del mio principe aguzzino, io rubavo scampoli di tempo da dedicare al mio obiettivo. Quando mi riusciva.

 

Mentre ero assorta nelle parole che si materializzavano veloci sul foglio del word, d’un tratto sobbalzai dalla sedia, era quello là entrato in stanza a farmi sentire la sua roboante presenza nonostante mi girasse intorno in assoluto silenzio. Nella mia testa, però, si faceva sempre più nitida la musica de “Lo squalo”: “dam dam dam dam…”, riuscite a sentirla anche voi?

 

«E’ un’intervista a un cantante», ha bisbigliato la mia voce quando lui si è affacciato nel monitor del portatile con quegli occhi, ormai familiari, che avrebbero intimorito il demonio.

Nessuna sua parola, non un cenno, solo la sensazione di gelo che avvertivo ogni qualvolta preavvisavo l’imminente tempesta che mi avrebbe travolta.

 

Post-it: Il cervello di un manipolatore affettivo vive in stato di premeditazione perenne, (questa più che l’introduzione di un “post-it” sembra quella di una puntata di “Superquark”) pertanto ogni occasione, ogni azione della partner sono appetibili fonti da cui attingere per dare origine a un nuovo colpo da mettere a segno. Ci riesce sempre, lui sa dove e come colpire, ricordiamoci che conosce tutto di noi, soprattutto i punti deboli, ci ha studiate sapientemente già durante la fase ammaliante del Love Bombing. Ecco perché la prevenzione è importante, ora sappiamo che lì sono racchiusi la maggior parte dei campanelli d’allarme.

 

 

Erano passati due giorni dalla notte de “Lo squalo” quando, rientrata a casa, sulla mia scrivania troneggiava spavaldo un pc fisso con un monitor gigante al posto del mio portatile d’argento.

Lui me lo mostrò con quel ghigno maligno che nemmeno se si fosse sforzato tanto avrebbe potuto assomigliare vagamente a un sorriso.

 

«Cos’è questo coso? Dov’è il mio computer?», ho chiesto sconcertata.

«E’ questo il tuo computer!». Ha risposto secco e seccato.

«Non è il mio, non ci sono le mie cose qui dentro e non lo so usare!». Ho osato ribattere più secca di lui e sull’ultima affermazione anche Carrie Bradshaw mi avrebbe compresa appieno.

«Le tue cose non ci sono più, non esistono più!». Eccolo lì di nuovo, Jack Nicholson sulla locandina di Shining. Uguale, anzi no, peggio.

 

Un computer nuovo, vuoto e non predisposto alla connessione Wi-Fi. Abbiamo letto bene, sì, NON predisposto alla connessione Wi-Fi. Dall’alto della mia ignoranza tecnologica non pensavo neppure che esistessero dispositivi con tale opzione, adesso è paradossalmente questa la vera fantascienza.

Ancora una volta impietrita stentavo a capacitarmi che “quella cosa” stesse accadendo realmente. Aveva resettato la mia vita e l’aveva riprogrammata a suo abuso e consumo. Gli restava ancora da resettare il pc, non ci avevo pensato, l’unica cosa rimasta solo mia.

Fatto.

 

A lui, naturalmente, ancora non bastava vedermi sgomenta, nel vortice del vuoto più tetro, aveva bisogno di alzare l’asticella del suo godimento ancora più in alto.

Ha attaccato, dunque, con una delle sue performance migliori, sono sicura fosse anche la sua preferita, si percepiva dalla fierezza che gli si spalmava spocchiosa sulla faccia: i monologhi atti ad infierire senza alcuno scrupolo.

 

«Vuole fare la giornalista, adesso la chiama a scrivere Vanity Fair!» e qui la sua risata si è fatta chiara, sarcastica, fragorosa, denigrante.

«Pensa alle cose serie invece delle solite stupidaggini». Indicandomi quel “coso” asettico più anaffettivo di lui.

«Sei solo un’infantile, tutto quello che vuoi fare tu sono solo stronzate. Non sei nessuno e non sarai mai nessuno, che ti sei messa in testa, non scriverai mai!» sentenziò con tutta la cattiveria che aveva in corpo.

 

Post-it: per i narcisisti patologici la sofferenza provocataci non sarà mai abbastanza. Le nostre reazioni, qualunque tipo di reazione, sono linfa vitale per il loro ego fallito e frustrato sotto mentite spoglie di onnipotente. Nel loro DNA non esiste una sola cellula che contenga empatia, anzi, arrecarci dolore è la loro priorità vitale, tant’è vero che più saremo disperate più sarà grande il loro piacere.

Ma tutto questo non dovrebbe farci solo desiderare di scappare il più lontano possibile da questi individui, invece di restare a farci massacrare?!

 

A questo punto del manuale lo sappiamo che, in teoria, la parola magica è “razionalità”, se riuscissimo a metterla anche in pratica ci renderemmo conto che, in realtà, l’arma più letale per colpire e affondare ce l’abbiamo noi e non loro: l’indifferenza.

 

Se esiste qualcosa che possa minare il controllo totale sulla nostra vita o che possa solo distogliere la nostra attenzione dalla loro persona, allora quella cosa va disintegrata quanto prima.

Hanno il bisogno smisurato di essere il fulcro della nostra esistenza, proprio come hanno fatto con noi nel “love bombing”.

 

Riflettiamoci insieme. È vero che ci sentivamo al centro del mondo quando loro si sono insinuati amorevol-Mente in tutte le aree della nostra quotidianità?

Immaginiamo quei giorni da sogno come fossero un tutorial personalizzato montato ad arte per noi. Durante il bombardamento d’amore, quando ipnotizzate dal suono dei violini come fossimo serpenti al cospetto degli incantatori, i manipolatori ci stanno indottrinando su come ricambiare una volta che loro avranno gettato la maschera.

 

E se il controllo è il primo intento che hanno, il secondo è quello di annientarci. Le tecniche con cui mettono in atto il maleficio premeditato stiamo scoprendo essere varie, tra queste c’è anche la svalutazione. Controllo e svalutazione, una combo micidiale.

 

Ivana Napolitano ci spiega le dinamiche del controllo e la svalutazione in una relazione tossica.

 

«In una relazione tossica il manipolatore risulta ipercontrollante nei riguardi della sua partner in quanto, per poter agire machiavellicamente e strategicamente deve evitare che qualcosa esuli dal suo dominio, impone infatti il suo pensiero in ogni aspetto della vita della sua donna.

 

Lo stile di tali relazioni patologiche è dispotico e repressivo: il manipolatore limita la sua donna, la schiaccia, la deprime rendendola dipendente e poco intraprendente, incapace di reagire alle ingiustizie ed ha il solo obiettivo di indurla ad accettare i suoi dettami, la sua volontà totalitaria.

 

Dopo il corteggiamento spietato del love bombing il manipolatore cambia gioco. La persona che inizialmente era sembrata come il “Salvatore”, l’amore tanto atteso di una vita, l’uomo speciale, dopo poco è la stessa che maltratta, mente, annienta la sua e solo sua isolata donna.

Il manipolatore di solito possiede un falso “sé”, per sopravvivere psicologicamente ha bisogno dell’altro e della sua costante approvazione, tutto ciò che crea è menzognero e sostenuto dalla sua incapacità di provare sentimenti autentici. La sua “preda” ha due funzioni precise: sostenere il suo precario “ego” con annessi imposti e incondizionati e rappresentare il contenitore delle sue frustrazioni dove egli proietterà, con cattiveria e rabbia, offese e denigrazioni, sentimenti intollerabili quando rivolti a sé stesso»

 

 

Difatti mi definivo il suo “sfogatoio”.

 

 

Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa sì che non sia la tua mente.”

                                                                                                                (Dalai Lama)                              

 

Della citazione del Dalai Lama dovremmo farne un mantra fino a non permettere tassativamente di essere l’indifferenziata di questi soggetti patologici. Memorandum valido non solo per le relazioni sentimentali trattate qui nel manuale ma anche in quelle familiari, lavorative e di amicizia trattate nel blog www.amorevolmente.com.

 

In ogni caso, ho passato i giorni successivi all’arrivo del gigante asettico sulla scrivania a fare la caccia al tesoro. Perlustravo la casa da cima a fondo, mi alzavo di notte per cercarlo ma del mio computer nemmeno l’ombra.

 

“Aaah, lo sgabuzzino!”, perché mai non ho pensato allo sgabuzzino?!

 

Niente, nemmeno lì. Quanta rabbia, quanta frustrazione. Ho alzato gli occhi al cielo, più per sconfitta che per intuizione, ed eccola, la tracolla della “sobria” borsa fucsia, che custodiva il mio pc, venutami in soccorso penzolando in un piccolo lembo dallo scaffale più alto, raggiungibile solo con lo scaletto.

 

Sollievo, orrore e felicità, si abbracciavano e si scazzottavano, allo stesso tempo, nel mio cuore e nella mia testa mentre ripercorrevo a ritroso l’intera storia con il tipo come succede nei film.

No, no e no, l’attrice protagonista non potevo, non dovevo e non volevo più essere io.

Nelle sue mani ero diventata questo, insieme all’unica cosa che mi apparteneva, un oggetto da mettere via, sullo scaffale più alto, quello su cui ammuffirà per sempre la roba inutile.

Non so per quanto tempo sia rimasta con il naso in su a fissare quel cumulo di “nulla” che nascondeva, non del tutto, il mio tesoro.

Ero stata ancora una volta umiliata, derisa, svilita e da chi poi? Da uno che a conti fatti si sentiva più fallito di me e a cui ho permesso di camuffarsi da Dio.

Come avevo potuto permettere e accettare quelle pazzie da un essere così infimo?

In quel preciso istante sono stata schiaffeggiata e riportata alla realtà dai miei lucidi “che cazzo ci faccio ancora qui?!”.

 

In quel preciso istante ho ridimensionato il padrone abusivo della mia vita a ciò che era realmente: NIENTE.

 

È stato in quel preciso istante che ho deciso che presto sarei scappata via da quella casa.

E così è stato.

 

Vanity Fair non è mai stato nei miei piani come di sicuro non sarò mai nessuno se non, semplicemente, Vanna Morra ma oggi scrivo da giornalista e la scrittura è diventata una delle mie professioni.

girone5-web

“Il silenzio punitivo”

Quinto Girone

“Il silenzio punitivo”

Qualche giorno fa io e le mie amiche, sotto il calore dei funghi a gas nella sala di un bar, tra biscotti e cioccolate calde, ci confrontavamo su quello che diventa, ogni volta, l’immancabile tema di punta delle nostre chiacchierate: gli uomini e i loro strambi atteggiamenti. La scena e l’atmosfera fanno molto “Sex and the city” e, ammetto, che è così che mi sento (voi no?!) quando mi ritrovo con le mie ragazze a scambiarci aneddoti e storie, attuali e passate, che hanno per protagonisti volubili personaggi maschili. Ognuna di noi, seppure con percorsi differenti, ha un ricco curriculum sentimentale da spavento.

“Chi non ce l’ha?!” starete pensando, avete ragione, siamo qui proprio per questo motivo.

 

Ritornando alla “riunione” dell’altro giorno, i toni della conversazione erano ironici e leggeri, ormai poche cose ancora ci meravigliano anzi ci scherziamo anche su, ciononostante, si sono fatti più seri quando “R” ha catturato la nostra attenzione con:

«Sapete cosa mi faceva stare veramente male quando stavo insieme al mio ex? Il suo silenzio. Non era nemmeno un silenzio, era il mutismo più assoluto, riusciva a stare zitto anche per settimane, come se io non esistessi e credo che fosse una forma di manipolazione».

 

“Din, din, din…”, campanello d’allarme.

 

Tuttavia, “C” e “A” obiettavano sulla questione manipolativa:

«Beh, poteva semplicemente non avere voglia di discutere, non è che ora siano tutti narcisisti patologici», hanno ribattuto d’accordo.

«No, non potete comprendere quanto fosse terribile quel silenzio e come mi faceva sentire o forse io non so spiegarvelo», ha continuato “R”.

 

Io ero esattamente nel mezzo delle due teorie. È vero, il non voler discutere è legittimo e non deve essere bollato in automatico come una tecnica manipolativa, così come gli stronzi non sono per forza narcisisti ma semplicemente stronzi e basta. È anche vero, però, che mi sia immedesimata nei silenzi di cui parlava “R” e, narcisismo o meno, ho compreso benissimo la sofferenza che cercava di spiegare.

 

Lo ricordo bene il primo “trattamento del silenzio” ricevuto, stentavo a credere che lo stessi vivendo sul serio. Possibile che non avessi compreso bene quanto fosse importante per lui la cottura di quei cazzo di gamberetti?

 

Li cucinò per me in una notte d’estate perché sapeva fossero il mio piatto preferito, mentre io apparecchiavo un’impeccabile tavola sul terrazzo degna di “Cortesie per gli ospiti”, Csaba sarebbe stata molto fiera di me. Le candele, intanto, bruciavano lasciando nell’aria quella scia di vaniglia che adoro tanto.

Wow, da sogno, vero?! Li sentite i violini?

 

Eh no, chiedo scusa ma vi devo riportare immediatamente alla realtà! Primo perché l’odore della citronella si mise a battagliare con quello della vaniglia avendo la meglio e poi perché le prospettive di una cena romantica si disintegrarono al quarto gamberetto. Ne mangiai uno e mi complimentai per quanto fosse buono, con il secondo ribadii il mio piacere. Al terzo, pensai di poter cambiare argomento ma mi fece notare quanto fosse stato bravo nell’impiattamento e quindi concordai con lui anche sulle ineccepibili qualità estetiche. Al quarto gamberetto: “Apocalypse Now!”.

 

«Ma non mi dici niente, non ti piacciono?», mi disse con tono sprezzante. Citronella e vaniglia messe K.O. dai fulmini e saette lanciati dai suoi occhi malvagi, si stava trasformando in non so chi o cosa.

«Come, non ti dico niente?», ero basita.

«Te lo sto dicendo ad ogni boccone!», ho continuato accennando comunque un sorriso, “starà scherzando” pensavo, anche se per la prima volta il suo sguardo mi faceva paura.

«Ma non hai detto niente sulla cottura». La sua voce mi pietrificò.

«La cottura è l’aspetto più importante della cucina e tu non dici nulla, non ti sei accorta che sono cotti alla perfezione?» Continuava a ruota libera lui, io lo fissavo nello sconcerto più totale.

 

Post-it: Ricordiamoci che i narcisisti sono assolutamente perfetti in ogni cosa e se lo ripetono da soli come un mantra. Naturalmente non è così. Buona parte di loro è seriamente convinta di esserlo, l’altra parte, invece, sa bene di non esserlo affatto. In ogni caso, entrambe le categorie hanno bisogno di autoconvincersi e soprattutto di convincere noi che sia così. Il loro cervello, di conseguenza, non contempla minimamente il fatto di non essere adorati per tutto ciò che sono e che fanno.

 

Non sapevo dove stesse andando a parare né tantomeno comprendevo per quale ragione fosse così fuori di sé, visti i complimenti che gli avevo fatto. Glieli avevo fatti, giusto? Ero di nuovo disorientata.

Loro hanno la capacità di ribaltarti il cervello in un nanosecondo.

 

«Sei un’ingrata! Ho cucinato per te, il tuo piatto preferito, e neanche un briciolo di apprezzamento merito?»

 

Stava avvenendo per davvero quell’allucinante “conversazione”? Ad ogni modo, dalle parole ai fatti, fuori di sé lanciò con veemenza le posate nel piatto lasciandomi subito dopo da sola, a tavola, in uno stato confusionale in balia del terrazzo che prese a girarmi intorno.

Vivevamo nella stessa casa, mi ha rivolto il primo sguardo e la prima parola dopo sei giorni.

Li contavo.

 

In quel lasso di tempo fatto di silenzio cosmico, che ho percepito come interminabile, non intuivo nemmeno lontanamente che pena stessi scontando. All’inizio mi sono anche sfiancata a chiedere, a cercare di estorcergli una spiegazione, niente, lui imperturbabile nel suo mutismo, io umiliata non esistevo. Così mi sono rassegnata e ho atteso l’assoluzione dei peccati, divorata da un senso di frustrazione e vuoto mai provato prima.

 

Ovviamente quando ha ricominciato a parlarmi è stato solo per riprendere la comunicazione dal punto in cui l’aveva interrotta, accusandomi ancora della mia ingratitudine, vomitandomi addosso tutto quello che lui faceva per me senza essere ammirato adeguatamente ferendo, così, con non curanza la sua infinita sensibilità.

 

Mi è appena scappato un sorriso ora, ironico, certo. Credetemi, pur sforzandomi, non ricordo una sola cosa bella fatta per me se non per il meschino gusto di rovinarmela prima, durante o un attimo dopo. Atteggiamento che trova spiegazione perversa in un’altra tecnica manipolativa e che pure scopriremo più avanti.

 

Post-it: I litigi e, di conseguenza, i silenzi punitivi sono sempre meticolosamente premeditati e strutturati ad hoc, come nei più efficaci piani editoriali. Il loro successo sta nel fatto che sono strategicamente innescati o nel corso del “love bombing” o subito dopo, periodo in cui noi siamo cotte a puntino, io lo ero sicuramente più dei gamberetti… oh, che non ho più mangiato!

 

Ed eccola qui la campana d’allarme con tutto il campanaro.

Ragioniamo. Cambiano gli episodi ma le motivazioni che scatenano “il gioco del silenzio” si basano sempre e solo sul nulla.

 

Razionalizziamo, razionalizziamo sempre. È l’unica chiave che apre la porta per venire fuori dal castello degli incubi e anche l’unico mezzo che possa permetterci di ridimensionare “la grandiosità” del personaggio che ci ha raggirato. Grandiosità che, ora sappiamo, si è appioppato da solo.

Riflettiamo. Se non fossimo totalmente ipnotizzate dal principe abusante, dopo un episodio così futile, il personaggio uscirebbe da quella porta a suon di calci nel sedere, di certo non stazionerebbe in casa con noi, tronfio e gongolante, a godersi il successo del colpo affondato.

 

Quando ci troviamo di fronte a dinamiche così destabilizzanti dovremmo fermarci e cercare a tutti i costi di fare appello alla nostra, anche poca, lucidità affinché ci riporti a ragionare prima di avanzare nel “labirinto dei perché”. I “perché” non esistono, sono solo frutto del piano diabolico del narcisista patologico.

 

Nei fatti sarebbe molto più semplice di quanto sembri, prendiamo ad esempio la celebre citazione del film “La verità è che non gli piaci abbastanza”.

In una scena al bancone del bar, Alex si rivolge a Gìgì dicendole: “Fidati, se un uomo ti tratta come se non gliene fregasse un cazzo di te, non gliene frega un cazzo di te davvero!”.

 

Dunque, per logica, aggiungiamoci anche questa: “Se in un litigio con reazioni spropositate ci sembra che non ci sia un valido motivo, quel motivo valido non c’è davvero.”

 

Ivana Napolitano ci spiega che il silenzio punitivo rappresenta una potente forma di manipolazione all’interno delle relazioni tossiche. Identificato in psicologia come atteggiamento passivo aggressivo, il silenzio come “punizione” viene utilizzato per far fronte alla rabbia. I manipolatori tollerano poco e male le frustrazioni, basta una parola “fuori posto”, un commento non gradito, un gesto o addirittura uno sguardo non approvato per minare il loro grandioso ego e per dare sfogo alla rabbia e alla ferita narcisista che tale “sfregio” ha inflitto. Spesso interrompono ogni forma di comunicazione con il/la partner, colpevole di non aver valorizzato in maniera adeguata il loro valore, appunto, scelgono il silenzio senza che l’altro abbia la possibilità di comprendere cosa sia successo. In realtà, ripudiano il confronto, non essendo capaci di sostenerlo. Il silenzio è un’arma micidiale che lascia chi lo subisce in una condizione di ansia e confusione, è un atto violento che reiterato nel tempo può causare danni psicofisici molto gravi.

 

Ma perché lo fanno? Cosa ci vogliono dire con il trattamento del silenzio?

Lo scopo è sempre lo stesso, avere il controllo di su di noi e ci stanno dicendo, in pratica, che noi esistiamo solo se e quando loro lo decidono.

 

Post-it: Qui rafforziamo ulteriormente il concetto che una relazione tossica non sia fatta propriamente da una vittima e un carnefice, come abbiamo visto nel girone precedente, anche quel “tossica” ci dice chiaramente qualcosa.

I protagonisti di tale relazione sono pari a una drogata e al suo pusher di fiducia, dipendenti entrambi l’uno dall’altra, bisognosi entrambi l’uno dell’altra.

 

Per il narcisista “il silenzio punitivo” è il primo vero test per mettere alla prova la “prescelta” e analizzarne il grado dipendenza attraverso l’entità del malessere che le provoca tale trattamento.

Dopodiché avrà il pieno controllo non solo sulla partner ma anche sulle “dosi silenti” da somministrare. Lui sa di essere la droga di lei e il silenzio messo in atto è la sua l’astinenza.

Quinto Girone

“Il silenzio punitivo”

Qualche giorno fa io e le mie amiche, sotto il calore dei funghi a gas nella sala di un bar, tra biscotti e cioccolate calde, ci confrontavamo su quello che diventa, ogni volta, l’immancabile tema di punta delle nostre chiacchierate: gli uomini e i loro strambi atteggiamenti. La scena e l’atmosfera fanno molto “Sex and the city” e, ammetto, che è così che mi sento (voi no?!) quando mi ritrovo con le mie ragazze a scambiarci aneddoti e storie, attuali e passate, che hanno per protagonisti volubili personaggi maschili. Ognuna di noi, seppure con percorsi differenti, ha un ricco curriculum sentimentale da spavento.

“Chi non ce l’ha?!” starete pensando, avete ragione, siamo qui proprio per questo motivo.

 

Ritornando alla “riunione” dell’altro giorno, i toni della conversazione erano ironici e leggeri, ormai poche cose ancora ci meravigliano anzi ci scherziamo anche su, ciononostante, si sono fatti più seri quando “R” ha catturato la nostra attenzione con:

«Sapete cosa mi faceva stare veramente male quando stavo insieme al mio ex? Il suo silenzio. Non era nemmeno un silenzio, era il mutismo più assoluto, riusciva a stare zitto anche per settimane, come se io non esistessi e credo che fosse una forma di manipolazione».

 

“Din, din, din…”, campanello d’allarme.

 

Tuttavia, “C” e “A” obiettavano sulla questione manipolativa:

«Beh, poteva semplicemente non avere voglia di discutere, non è che ora siano tutti narcisisti patologici», hanno ribattuto d’accordo.

«No, non potete comprendere quanto fosse terribile quel silenzio e come mi faceva sentire o forse io non so spiegarvelo», ha continuato “R”.

 

Io ero esattamente nel mezzo delle due teorie. È vero, il non voler discutere è legittimo e non deve essere bollato in automatico come una tecnica manipolativa, così come gli stronzi non sono per forza narcisisti ma semplicemente stronzi e basta. È anche vero, però, che mi sia immedesimata nei silenzi di cui parlava “R” e, narcisismo o meno, ho compreso benissimo la sofferenza che cercava di spiegare.

 

Lo ricordo bene il primo “trattamento del silenzio” ricevuto, stentavo a credere che lo stessi vivendo sul serio. Possibile che non avessi compreso bene quanto fosse importante per lui la cottura di quei cazzo di gamberetti?

 

Li cucinò per me in una notte d’estate perché sapeva fossero il mio piatto preferito, mentre io apparecchiavo un’impeccabile tavola sul terrazzo degna di “Cortesie per gli ospiti”, Csaba sarebbe stata molto fiera di me. Le candele, intanto, bruciavano lasciando nell’aria quella scia di vaniglia che adoro tanto.

Wow, da sogno, vero?! Li sentite i violini?

 

Eh no, chiedo scusa ma vi devo riportare immediatamente alla realtà! Primo perché l’odore della citronella si mise a battagliare con quello della vaniglia avendo la meglio e poi perché le prospettive di una cena romantica si disintegrarono al quarto gamberetto. Ne mangiai uno e mi complimentai per quanto fosse buono, con il secondo ribadii il mio piacere. Al terzo, pensai di poter cambiare argomento ma mi fece notare quanto fosse stato bravo nell’impiattamento e quindi concordai con lui anche sulle ineccepibili qualità estetiche. Al quarto gamberetto: “Apocalypse Now!”.

 

«Ma non mi dici niente, non ti piacciono?», mi disse con tono sprezzante. Citronella e vaniglia messe K.O. dai fulmini e saette lanciati dai suoi occhi malvagi, si stava trasformando in non so chi o cosa.

«Come, non ti dico niente?», ero basita.

«Te lo sto dicendo ad ogni boccone!», ho continuato accennando comunque un sorriso, “starà scherzando” pensavo, anche se per la prima volta il suo sguardo mi faceva paura.

«Ma non hai detto niente sulla cottura». La sua voce mi pietrificò.

«La cottura è l’aspetto più importante della cucina e tu non dici nulla, non ti sei accorta che sono cotti alla perfezione?» Continuava a ruota libera lui, io lo fissavo nello sconcerto più totale.

 

Post-it: Ricordiamoci che i narcisisti sono assolutamente perfetti in ogni cosa e se lo ripetono da soli come un mantra. Naturalmente non è così. Buona parte di loro è seriamente convinta di esserlo, l’altra parte, invece, sa bene di non esserlo affatto. In ogni caso, entrambe le categorie hanno bisogno di autoconvincersi e soprattutto di convincere noi che sia così. Il loro cervello, di conseguenza, non contempla minimamente il fatto di non essere adorati per tutto ciò che sono e che fanno.

 

Non sapevo dove stesse andando a parare né tantomeno comprendevo per quale ragione fosse così fuori di sé, visti i complimenti che gli avevo fatto. Glieli avevo fatti, giusto? Ero di nuovo disorientata.

Loro hanno la capacità di ribaltarti il cervello in un nanosecondo.

 

«Sei un’ingrata! Ho cucinato per te, il tuo piatto preferito, e neanche un briciolo di apprezzamento merito?»

 

Stava avvenendo per davvero quell’allucinante “conversazione”? Ad ogni modo, dalle parole ai fatti, fuori di sé lanciò con veemenza le posate nel piatto lasciandomi subito dopo da sola, a tavola, in uno stato confusionale in balia del terrazzo che prese a girarmi intorno.

Vivevamo nella stessa casa, mi ha rivolto il primo sguardo e la prima parola dopo sei giorni.

Li contavo.

 

In quel lasso di tempo fatto di silenzio cosmico, che ho percepito come interminabile, non intuivo nemmeno lontanamente che pena stessi scontando. All’inizio mi sono anche sfiancata a chiedere, a cercare di estorcergli una spiegazione, niente, lui imperturbabile nel suo mutismo, io umiliata non esistevo. Così mi sono rassegnata e ho atteso l’assoluzione dei peccati, divorata da un senso di frustrazione e vuoto mai provato prima.

 

Ovviamente quando ha ricominciato a parlarmi è stato solo per riprendere la comunicazione dal punto in cui l’aveva interrotta, accusandomi ancora della mia ingratitudine, vomitandomi addosso tutto quello che lui faceva per me senza essere ammirato adeguatamente ferendo, così, con non curanza la sua infinita sensibilità.

 

Mi è appena scappato un sorriso ora, ironico, certo. Credetemi, pur sforzandomi, non ricordo una sola cosa bella fatta per me se non per il meschino gusto di rovinarmela prima, durante o un attimo dopo. Atteggiamento che trova spiegazione perversa in un’altra tecnica manipolativa e che pure scopriremo più avanti.

 

Post-it: I litigi e, di conseguenza, i silenzi punitivi sono sempre meticolosamente premeditati e strutturati ad hoc, come nei più efficaci piani editoriali. Il loro successo sta nel fatto che sono strategicamente innescati o nel corso del “love bombing” o subito dopo, periodo in cui noi siamo cotte a puntino, io lo ero sicuramente più dei gamberetti… oh, che non ho più mangiato!

 

Ed eccola qui la campana d’allarme con tutto il campanaro.

Ragioniamo. Cambiano gli episodi ma le motivazioni che scatenano “il gioco del silenzio” si basano sempre e solo sul nulla.

 

Razionalizziamo, razionalizziamo sempre. È l’unica chiave che apre la porta per venire fuori dal castello degli incubi e anche l’unico mezzo che possa permetterci di ridimensionare “la grandiosità” del personaggio che ci ha raggirato. Grandiosità che, ora sappiamo, si è appioppato da solo.

Riflettiamo. Se non fossimo totalmente ipnotizzate dal principe abusante, dopo un episodio così futile, il personaggio uscirebbe da quella porta a suon di calci nel sedere, di certo non stazionerebbe in casa con noi, tronfio e gongolante, a godersi il successo del colpo affondato.

 

Quando ci troviamo di fronte a dinamiche così destabilizzanti dovremmo fermarci e cercare a tutti i costi di fare appello alla nostra, anche poca, lucidità affinché ci riporti a ragionare prima di avanzare nel “labirinto dei perché”. I “perché” non esistono, sono solo frutto del piano diabolico del narcisista patologico.

 

Nei fatti sarebbe molto più semplice di quanto sembri, prendiamo ad esempio la celebre citazione del film “La verità è che non gli piaci abbastanza”.

In una scena al bancone del bar, Alex si rivolge a Gìgì dicendole: “Fidati, se un uomo ti tratta come se non gliene fregasse un cazzo di te, non gliene frega un cazzo di te davvero!”.

 

Dunque, per logica, aggiungiamoci anche questa: “Se in un litigio con reazioni spropositate ci sembra che non ci sia un valido motivo, quel motivo valido non c’è davvero.”

 

Ivana Napolitano ci spiega che il silenzio punitivo rappresenta una potente forma di manipolazione all’interno delle relazioni tossiche. Identificato in psicologia come atteggiamento passivo aggressivo, il silenzio come “punizione” viene utilizzato per far fronte alla rabbia. I manipolatori tollerano poco e male le frustrazioni, basta una parola “fuori posto”, un commento non gradito, un gesto o addirittura uno sguardo non approvato per minare il loro grandioso ego e per dare sfogo alla rabbia e alla ferita narcisista che tale “sfregio” ha inflitto. Spesso interrompono ogni forma di comunicazione con il/la partner, colpevole di non aver valorizzato in maniera adeguata il loro valore, appunto, scelgono il silenzio senza che l’altro abbia la possibilità di comprendere cosa sia successo. In realtà, ripudiano il confronto, non essendo capaci di sostenerlo. Il silenzio è un’arma micidiale che lascia chi lo subisce in una condizione di ansia e confusione, è un atto violento che reiterato nel tempo può causare danni psicofisici molto gravi.

 

Ma perché lo fanno? Cosa ci vogliono dire con il trattamento del silenzio?

Lo scopo è sempre lo stesso, avere il controllo di su di noi e ci stanno dicendo, in pratica, che noi esistiamo solo se e quando loro lo decidono.

 

Post-it: Qui rafforziamo ulteriormente il concetto che una relazione tossica non sia fatta propriamente da una vittima e un carnefice, come abbiamo visto nel girone precedente, anche quel “tossica” ci dice chiaramente qualcosa.

I protagonisti di tale relazione sono pari a una drogata e al suo pusher di fiducia, dipendenti entrambi l’uno dall’altra, bisognosi entrambi l’uno dell’altra.

 

Per il narcisista “il silenzio punitivo” è il primo vero test per mettere alla prova la “prescelta” e analizzarne il grado dipendenza attraverso l’entità del malessere che le provoca tale trattamento.

Dopodiché avrà il pieno controllo non solo sulla partner ma anche sulle “dosi silenti” da somministrare. Lui sa di essere la droga di lei e il silenzio messo in atto è la sua l’astinenza.

girone-4-web

“Gaslighting e Isolamento”

Quarto Girone

“Gaslighting e Isolamento”

  • Te lo sei immaginato!
  • Non è mai successo!
  • Ma come fai a non ricordatelo… me lo hai detto proprio tu!
  • Io non ho mai detto questa cosa!
  • Stavo scherzando, sei tu che sei troppo pesante!
  • Hai sbagliato tu, come sempre!
  • Ti stai inventando tutto!
  • Se ti lascio, non troverai nessun altro come me!

 

E noi, d’ora in poi, decisamente ci speriamo!

Queste sono solo alcune frasi estrapolate dal copione della comunicazione standardizzata di un “gaslighter” all’indirizzo della prescelta.

Uso l’espressione “prescelta” perché il narcisista patologico, abbiamo visto, sceglie tecnicamente la partner più adatta in base alle sue necessità e al raggiungimento dei suoi scopi.

Io, per esempio, sarò stata scelta per fargli da sfogatoio per le sue frustrazioni e fallimenti, per la mia empatia da sfruttare nel suo lavoro e sostanzialmente per fargli da badante. Oh, è riuscito in tutti i suoi intenti!

L’obiettivo di tale frasario è quello di prendere il pieno controllo della nostra vita, nel caso del “gaslighting”, facendoci dubitare di noi stesse e rendendoci, di conseguenza, sempre più dipendenti. Questa è probabilmente la tecnica manipolativa più pericolosa con cui opera il maligno abusante perché alla lunga rischia di compromettere seriamente la nostra sanità mentale.

girone4art3web

Alle frasi strategiche, con cui “il vampiro energetico” gioca a “ti confondo il cervello”, progressivamente si aggiungeranno i giudizi negativi sul nostro aspetto fisico, le critiche continue sul modo di comportarci che ci indurranno a credere di essere perennemente in errore. Saremo redarguite per tutto ciò che ci riguarda, la nostra professione sarà sminuita e ridicolizzata, fossimo pure il Presidente della Repubblica. Le persone che frequentiamo sono tutte stupide e noiosamente inutili e, soprattutto, mai alla sua altezza. Senza rendercene conto, amico dopo amico familiare dopo familiare, ci ritroveremo isolate e dipendenti da lui, portandolo così a raggiungere il suo massimo obiettivo.

Sembrerebbe già tanto, vero?! Invece no, per lui dall’alto dell’ego, sarà sempre troppo poco e il suo scopo raggiunto va comunque alimentato costantemente, per cui, alle regole del gioco malvagio si alterneranno i “silenzi punitivi” per espiare i nostri “peccati”. Ogni “pausa” può essere a tempo indeterminato, durante le quali saremo ignorate a tal punto che ci sembrerà di non esistere, anzi, ogni tentativo di contatto con il manipolatore servirà solo a prolungare il silenzio. Un giorno sì e l’altro pure minaccerà di lasciarci (magari!) ma stiamo tranquille, non lo farà mai, ha bisogno di noi esattamente quanto noi di lui, tuttavia, la nostra paura di essere abbandonate renderà lui il più forte della nostra relazione tossica.

Post-it: il fatto che il narcisista patologico abbia bisogno di noi quanto noi di lui è un promemoria fondamentale in quanto viene a cadere il concetto che queste relazioni siano composte esclusivamente da una vittima e un carnefice. La sostanza è sicuramente questa poiché c’è la parte abusante e quella abusata, la realtà, però, rende chiaro l’evidente legame di codipendenza. Questa visione, che prende il nome di “codipendenza affettiva”, potrebbe essere molto molto utile, per me lo è stata, al fine di razionalizzare sulle dinamiche perfide e illogiche del rapporto nel quale vortichiamo. Razionalizzare, lo ripeterò in questo manuale fino alla noia, è la base della nostra salvezza.

Il gaslighting comincia gradualmente. Il manipolatore attua questa tecnica in maniera abilmente sottile già nella fase “super wow” del love bombing di modo che, essendo noi accecate dall’azzurro sbrilluccicoso del nostro “principe”, uno: di sicuro le sfumature marroni delle sue calzamaglie non le notiamo minimamente; due: dovessimo intercettare i famosi campanellini d’allarme, invece di soffermarci ad indagare continueremo ad ignorarli.

girone-4-fotoarticolo

È così che mi sono salvata. Nel pieno della mia favola da incubo sono inciampata per caso in un link, su Facebook, di un articolo che descriveva minuziosamente le caratteristiche dei narcisisti patologici, quelle di una relazione tossica e le conseguenze devastanti psicofisiche di chi, nella storia, è la parte che subisce. A fine lettura non so dirvi se fossi più inorridita o sollevata, lì dentro c’era racchiusa tutta la “roba” che stavo vivendo io ma al tempo stesso ci ho visto lo spiraglio di luce da seguire.  

Vi riporto di seguito una piccolissima serie di dinamiche che hanno delineato la mia relazione con il “principe abusante” e mi divido la citazione con Alessandro Siani.

 

  • Cominciai a dubitare di me.

Mi raccontava e faceva cose che in seguito negava di aver detto o fatto, questo era un suo modo di fare costante, anche nelle piccole cose, nelle sciocchezze, tutto. Lui smentiva, smentiva, smentiva godendo visibilmente del mio smarrimento, gli si illuminava quel volto pregno di perfidia a vedermi frastornata davanti ai suoi convinti “Ma quando mai!”, “Ma che dici, non è vero”, “Sei una pazza ma che t’inventi?!”

  • Tutto quello che veniva fuori dalla mia bocca era un cumulo di sciocchezze e banalità.

Era così persuasivo che, a rifletterci dopo, risultavano anche a me stronzate. Questo comportamento lo adottava quando eravamo soli, in presenza di altre persone non solo non lo faceva, addirittura mi esaltava apparentemente inorgoglito. Da sottolineare “apparentemente”. Inizialmente ci cascavo sul fatto che in fondo mi ammirasse ma poi quando eravamo insieme si contraddiceva gettandomi in overdose di confusione. Diventavo matta, rimuginavo ininterrottamente su come mai agli altri mi descrivesse come la donna più eccezionale al mondo e quando eravamo io e lui, non ero che un’emerita cretina. Poi ci sono arrivata. Ecco subito la spiegazione, è molto semplice e vale per la maggior parte dei narcisisti manipolatori: nella loro mente sono convinti di essere persone straordinariamente superiori, così come superiore e indiscutibile è tutto ciò li riguarda, comprese le loro scelte, compresa la partner. Devono dimostrare all’esterno che la loro compagna sia perfettamente adeguata alla loro grandiosità.

  • Il senso della realtà era completamente alterato.

Il livello, per intenderci bene, potrebbe essere quello che davanti a un bicchiere di vino rosso lui sosteneva fermamente che fosse bianco. Alla fine, ero lì a chiedermi se la realtà distorta non fosse la mia e se quel vino non fosse effettivamente bianco. Facciamo attenzione, facciamo appello alla poca lucidità che ancora ci resta perché è in questo caso estremo che il rischio di impazzire è realmente possibile.

  • All’improvviso non ho visto più i miei amici e man mano i parenti.

Non ricordo esattamente da quando ha cominciato a farmi il vuoto intorno ma di fatto sono arrivata a non vederli più. I pochi che lui inizialmente ha conosciuto, facendomi pesare lo sforzo e il favore enorme che mi stesse facendo, non erano abbastanza adeguati alla sua intelligenza e alla sua maturità. Di certo non potevo dire la verità alle persone che da sempre hanno abitato la mia quotidianità, così arrancavo scuse su scuse e raccontavo bugie per sottrarmi alla loro compagnia. Sempre per le doti persuasive del personaggio, piano piano il dubbio m’è venuto: «Ma non è che per la sua età, noi siamo veramente troppo infantili?». Così, vuoi per quieto vivere, vuoi che il mio cervello cominciasse pure a dargli ragione mi sono allontanata, senza rendermene conto, da tutto e tutti, anche dal mio lavoro, dai progetti, dai sogni.

  • Lui mi spaventava e mi destabilizzava.

Avevo l’impressione di essere la sua peggiore nemica per la cattiveria e l’odio che mi destinava. Quando gli chiedevo come fosse possibile che mi detestasse così tanto visto che mi diceva anche che ero l’amore della sua vita, mi dava della pazza visionaria. Altra caratteristica che accomuna la comunicazione, verbale e nei fatti, dei narcisisti patologici è quella di essere ambivalente. La confusione in cui si arriva a navigare è insostenibile, lo stato di dipendenza nei confronti di tali soggetti diventa totale e perpetuo mentre il loro nutrimento è appagato sempre e solo momentaneamente.

Momentaneamente perché, cominciamo ad impararlo, i narcisisti non sono mai appagati; dunque, dovranno darsi da fare velocemente per la mossa successiva. Una fatica enorme, tutto sommato, è un rapporto altamente stressante per entrambe le parti.

Ivana Napolitano interviene sulle tematiche di questo girone.

La preziosa testimonianza ci racconta di come funziona o meglio di come non funziona una tossica relazione abusante.

Il manipolatore, adescata la preda grazie all’arguto impegno del “love bombing”, prosegue dritto verso il suo obiettivo: svalutare poco per volta la vittima, all’inizio usando una leggera ironia, ad esempio sul suo modo di vestire, di parlare, sulla sua forma fisica. Dopo di che attacca con critiche meno velate sulle preferenze, sulle abitudini, sul carattere e su familiari ed amici della vittima, isolandola dai suoi contesti relazionali per esercitare in maniera “esclusiva” il controllo su di lei.

Successivamente inizia ad insinuare dubbi sulla lealtà, sulla moralità, sull’intelligenza e sull’onestà della “sua” donna.

Il gaslighting è fatto di bugie e negazioni, nette incongruenze tra azioni e parole che lentamente in maniera subdola consumano la vittima che si convince di essere “pazza” e di avere una visione distorta della realtà.

Il manipolatore attraverso azioni calcolate e consapevoli vuole distruggere l’autostima della vittima confondendo la sua percezione di sé, non prova empatia nei suoi confronti.

Chi subisce il gaslighting e tutte le devastanti forme di manipolazione abusanti ha bisogno di un aiuto concreto per uscirne, un percorso nel quale lavorare sulla consapevolezza e sul riconoscimento dei segnali della spietata violenza di cui è vittima, deve essere sostenuta per credere che da tutto questo orrore si può venire fuori.

 

Chi è impelagata in una relazione del genere, piano piano smette anche di confidarsi su ciò che accade. La realtà è così nebulosa che non sappiamo più raccontarla, i fatti così surreali che ce ne vergogniamo. Questo spiana completamente la via dell’isolamento, quella via che per volere del “mostro” avevamo già cominciato a percorrere.

Proviamo a prendere consapevolezza, dunque, del fatto che non importa quanto possa sembrarci illogico ciò che accade nella nostra storia, parliamone, proviamoci anche se ci risulta visionario da spiegare.

Immaginiamoci come fossimo in balia delle sabbie mobili, siamo destinate ad essere ingoiate dal fango ma se allunghiamo un braccio qualcuno potrebbe riuscire a salvarci.

sabbie-mobili_girone_4web

Vale anche nel caso contrario, facciamo attenzione se notiamo un’amica o una parente che si allontana, secondo noi, senza motivo o per motivi che ci convincono poco e cominciamo ad indagare. Cerchiamo di carpire informazioni utili al fine di essere concretamente d’aiuto, affinché possiamo essere tutti coinvolti nella prevenzione.

Quarto Girone

“Gaslighting e Isolamento”

  • Te lo sei immaginato!
  • Non è mai successo!
  • Ma come fai a non ricordatelo… me lo hai detto proprio tu!
  • Io non ho mai detto questa cosa!
  • Stavo scherzando, sei tu che sei troppo pesante!
  • Hai sbagliato tu, come sempre!
  • Ti stai inventando tutto!
  • Se ti lascio, non troverai nessun altro come me!

 

E noi, d’ora in poi, decisamente ci speriamo!

Queste sono solo alcune frasi estrapolate dal copione della comunicazione standardizzata di un “gaslighter” all’indirizzo della prescelta.

Uso l’espressione “prescelta” perché il narcisista patologico, abbiamo visto, sceglie tecnicamente la partner più adatta in base alle sue necessità e al raggiungimento dei suoi scopi.

Io, per esempio, sarò stata scelta per fargli da sfogatoio per le sue frustrazioni e fallimenti, per la mia empatia da sfruttare nel suo lavoro e sostanzialmente per fargli da badante. Oh, è riuscito in tutti i suoi intenti!

L’obiettivo di tale frasario è quello di prendere il pieno controllo della nostra vita, nel caso del “gaslighting”, facendoci dubitare di noi stesse e rendendoci, di conseguenza, sempre più dipendenti. Questa è probabilmente la tecnica manipolativa più pericolosa con cui opera il maligno abusante perché alla lunga rischia di compromettere seriamente la nostra sanità mentale.

girone4art3web

Alle frasi strategiche, con cui “il vampiro energetico” gioca a “ti confondo il cervello”, progressivamente si aggiungeranno i giudizi negativi sul nostro aspetto fisico, le critiche continue sul modo di comportarci che ci indurranno a credere di essere perennemente in errore. Saremo redarguite per tutto ciò che ci riguarda, la nostra professione sarà sminuita e ridicolizzata, fossimo pure il Presidente della Repubblica. Le persone che frequentiamo sono tutte stupide e noiosamente inutili e, soprattutto, mai alla sua altezza. Senza rendercene conto, amico dopo amico familiare dopo familiare, ci ritroveremo isolate e dipendenti da lui, portandolo così a raggiungere il suo massimo obiettivo.

Sembrerebbe già tanto, vero?! Invece no, per lui dall’alto dell’ego, sarà sempre troppo poco e il suo scopo raggiunto va comunque alimentato costantemente, per cui, alle regole del gioco malvagio si alterneranno i “silenzi punitivi” per espiare i nostri “peccati”. Ogni “pausa” può essere a tempo indeterminato, durante le quali saremo ignorate a tal punto che ci sembrerà di non esistere, anzi, ogni tentativo di contatto con il manipolatore servirà solo a prolungare il silenzio. Un giorno sì e l’altro pure minaccerà di lasciarci (magari!) ma stiamo tranquille, non lo farà mai, ha bisogno di noi esattamente quanto noi di lui, tuttavia, la nostra paura di essere abbandonate renderà lui il più forte della nostra relazione tossica.

Post-it: il fatto che il narcisista patologico abbia bisogno di noi quanto noi di lui è un promemoria fondamentale in quanto viene a cadere il concetto che queste relazioni siano composte esclusivamente da una vittima e un carnefice. La sostanza è sicuramente questa poiché c’è la parte abusante e quella abusata, la realtà, però, rende chiaro l’evidente legame di codipendenza. Questa visione, che prende il nome di “codipendenza affettiva”, potrebbe essere molto molto utile, per me lo è stata, al fine di razionalizzare sulle dinamiche perfide e illogiche del rapporto nel quale vortichiamo. Razionalizzare, lo ripeterò in questo manuale fino alla noia, è la base della nostra salvezza.

Il gaslighting comincia gradualmente. Il manipolatore attua questa tecnica in maniera abilmente sottile già nella fase “super wow” del love bombing di modo che, essendo noi accecate dall’azzurro sbrilluccicoso del nostro “principe”, uno: di sicuro le sfumature marroni delle sue calzamaglie non le notiamo minimamente; due: dovessimo intercettare i famosi campanellini d’allarme, invece di soffermarci ad indagare continueremo ad ignorarli.

girone-4-fotoarticolo

È così che mi sono salvata. Nel pieno della mia favola da incubo sono inciampata per caso in un link, su Facebook, di un articolo che descriveva minuziosamente le caratteristiche dei narcisisti patologici, quelle di una relazione tossica e le conseguenze devastanti psicofisiche di chi, nella storia, è la parte che subisce. A fine lettura non so dirvi se fossi più inorridita o sollevata, lì dentro c’era racchiusa tutta la “roba” che stavo vivendo io ma al tempo stesso ci ho visto lo spiraglio di luce da seguire.  

Vi riporto di seguito una piccolissima serie di dinamiche che hanno delineato la mia relazione con il “principe abusante” e mi divido la citazione con Alessandro Siani.

 

  • Cominciai a dubitare di me.

Mi raccontava e faceva cose che in seguito negava di aver detto o fatto, questo era un suo modo di fare costante, anche nelle piccole cose, nelle sciocchezze, tutto. Lui smentiva, smentiva, smentiva godendo visibilmente del mio smarrimento, gli si illuminava quel volto pregno di perfidia a vedermi frastornata davanti ai suoi convinti “Ma quando mai!”, “Ma che dici, non è vero”, “Sei una pazza ma che t’inventi?!”

  • Tutto quello che veniva fuori dalla mia bocca era un cumulo di sciocchezze e banalità.

Era così persuasivo che, a rifletterci dopo, risultavano anche a me stronzate. Questo comportamento lo adottava quando eravamo soli, in presenza di altre persone non solo non lo faceva, addirittura mi esaltava apparentemente inorgoglito. Da sottolineare “apparentemente”. Inizialmente ci cascavo sul fatto che in fondo mi ammirasse ma poi quando eravamo insieme si contraddiceva gettandomi in overdose di confusione. Diventavo matta, rimuginavo ininterrottamente su come mai agli altri mi descrivesse come la donna più eccezionale al mondo e quando eravamo io e lui, non ero che un’emerita cretina. Poi ci sono arrivata. Ecco subito la spiegazione, è molto semplice e vale per la maggior parte dei narcisisti manipolatori: nella loro mente sono convinti di essere persone straordinariamente superiori, così come superiore e indiscutibile è tutto ciò li riguarda, comprese le loro scelte, compresa la partner. Devono dimostrare all’esterno che la loro compagna sia perfettamente adeguata alla loro grandiosità.

  • Il senso della realtà era completamente alterato.

Il livello, per intenderci bene, potrebbe essere quello che davanti a un bicchiere di vino rosso lui sosteneva fermamente che fosse bianco. Alla fine, ero lì a chiedermi se la realtà distorta non fosse la mia e se quel vino non fosse effettivamente bianco. Facciamo attenzione, facciamo appello alla poca lucidità che ancora ci resta perché è in questo caso estremo che il rischio di impazzire è realmente possibile.

  • All’improvviso non ho visto più i miei amici e man mano i parenti.

Non ricordo esattamente da quando ha cominciato a farmi il vuoto intorno ma di fatto sono arrivata a non vederli più. I pochi che lui inizialmente ha conosciuto, facendomi pesare lo sforzo e il favore enorme che mi stesse facendo, non erano abbastanza adeguati alla sua intelligenza e alla sua maturità. Di certo non potevo dire la verità alle persone che da sempre hanno abitato la mia quotidianità, così arrancavo scuse su scuse e raccontavo bugie per sottrarmi alla loro compagnia. Sempre per le doti persuasive del personaggio, piano piano il dubbio m’è venuto: «Ma non è che per la sua età, noi siamo veramente troppo infantili?». Così, vuoi per quieto vivere, vuoi che il mio cervello cominciasse pure a dargli ragione mi sono allontanata, senza rendermene conto, da tutto e tutti, anche dal mio lavoro, dai progetti, dai sogni.

  • Lui mi spaventava e mi destabilizzava.

Avevo l’impressione di essere la sua peggiore nemica per la cattiveria e l’odio che mi destinava. Quando gli chiedevo come fosse possibile che mi detestasse così tanto visto che mi diceva anche che ero l’amore della sua vita, mi dava della pazza visionaria. Altra caratteristica che accomuna la comunicazione, verbale e nei fatti, dei narcisisti patologici è quella di essere ambivalente. La confusione in cui si arriva a navigare è insostenibile, lo stato di dipendenza nei confronti di tali soggetti diventa totale e perpetuo mentre il loro nutrimento è appagato sempre e solo momentaneamente.

Momentaneamente perché, cominciamo ad impararlo, i narcisisti non sono mai appagati; dunque, dovranno darsi da fare velocemente per la mossa successiva. Una fatica enorme, tutto sommato, è un rapporto altamente stressante per entrambe le parti.

Ivana Napolitano interviene sulle tematiche di questo girone.

La preziosa testimonianza ci racconta di come funziona o meglio di come non funziona una tossica relazione abusante.

Il manipolatore, adescata la preda grazie all’arguto impegno del “love bombing”, prosegue dritto verso il suo obiettivo: svalutare poco per volta la vittima, all’inizio usando una leggera ironia, ad esempio sul suo modo di vestire, di parlare, sulla sua forma fisica. Dopo di che attacca con critiche meno velate sulle preferenze, sulle abitudini, sul carattere e su familiari ed amici della vittima, isolandola dai suoi contesti relazionali per esercitare in maniera “esclusiva” il controllo su di lei.

Successivamente inizia ad insinuare dubbi sulla lealtà, sulla moralità, sull’intelligenza e sull’onestà della “sua” donna.

Il gaslighting è fatto di bugie e negazioni, nette incongruenze tra azioni e parole che lentamente in maniera subdola consumano la vittima che si convince di essere “pazza” e di avere una visione distorta della realtà.

Il manipolatore attraverso azioni calcolate e consapevoli vuole distruggere l’autostima della vittima confondendo la sua percezione di sé, non prova empatia nei suoi confronti.

Chi subisce il gaslighting e tutte le devastanti forme di manipolazione abusanti ha bisogno di un aiuto concreto per uscirne, un percorso nel quale lavorare sulla consapevolezza e sul riconoscimento dei segnali della spietata violenza di cui è vittima, deve essere sostenuta per credere che da tutto questo orrore si può venire fuori.

 

Chi è impelagata in una relazione del genere, piano piano smette anche di confidarsi su ciò che accade. La realtà è così nebulosa che non sappiamo più raccontarla, i fatti così surreali che ce ne vergogniamo. Questo spiana completamente la via dell’isolamento, quella via che per volere del “mostro” avevamo già cominciato a percorrere.

Proviamo a prendere consapevolezza, dunque, del fatto che non importa quanto possa sembrarci illogico ciò che accade nella nostra storia, parliamone, proviamoci anche se ci risulta visionario da spiegare.

Immaginiamoci come fossimo in balia delle sabbie mobili, siamo destinate ad essere ingoiate dal fango ma se allunghiamo un braccio qualcuno potrebbe riuscire a salvarci.

sabbie-mobili_girone_4web

Vale anche nel caso contrario, facciamo attenzione se notiamo un’amica o una parente che si allontana, secondo noi, senza motivo o per motivi che ci convincono poco e cominciamo ad indagare. Cerchiamo di carpire informazioni utili al fine di essere concretamente d’aiuto, affinché possiamo essere tutti coinvolti nella prevenzione.

girone3-web

#unrossoallaviolenza

Terzo Girone

#unrossoallaviolenza

È lunedì 21 novembre 2022. Il lunedì che accompagna la settimana che grida STOP alla violenza sulle donne, perché nel mezzo ha il 25, giornata mondiale dedicata.

È la settimana in cui TV, social, piazze, tutti si mobilitano per noi. Non meno importante è l’aspetto psicologico, per cui, personaggi famosi e sportivi lanciano il loro messaggio scendendo in campo con un segno rosso sul viso per rendere simbolicamente visibile anche quella violenza invisibile, subdola e silenziosa.

Mmh ok, ci piace, grazie tante per questa settimana, in cui la raccomandazione è: “denunciate denunciate denunciate, non siete sole”. Giustamente, gli slogan potrebbero mai esortarci a fare il contrario?!

Va bene, tutto molto bello ma poi passato il santo passata la festa, si spengono i riflettori sulla settimana di sensibilizzazione(?) e, arrivederci, l’appuntamento è al prossimo novembre.

E dopo? E il resto dell’anno?

Qualche giorno fa ho pubblicato sul mio profilo Facebook il post che segue:

“Un’altra donna è stata uccisa da un ex che non ha accettato di essere stato lasciato.

Un’altra donna è stata uccisa dopo aver denunciato.

Dai, menomale, che manca poco alla giornata dedicata”.

girone3-fotoarticolo2

Vi confesso che inizialmente avevo programmato la pubblicazione di amorevol-Mente proprio durante la settimana dedicata alla violenza sulle donne, mi sembrava strategico, ammetto, oltre alla volontà di dare un segnale e, nel mio piccolo, un contributo alla causa.

Poi ci ho riflettuto e ho rimandato l’uscita riconoscendo a me stessa di non poter cedere alle logiche di una strategia di marketing totalmente in contrapposizione con il mio pensiero.

Trovo “le giornate dedicate” inutili, molte delle quali imbarazzanti, questa in particolare mi fa proprio rabbia e concordo appieno con la mia amica C. che ha commentato così il post sopra citato: “Questa giornata è più offensiva degli spogliarellisti l’8 marzo”.

Il post era riferito ad Anastasiia uccisa a coltellate dal compagno, da cui si era separata e che evidentemente non aveva accettato la sua volontà, dopo averne denunciato i maltrattamenti e le minacce.

Come mai questa macabra vicenda non ci è nuova?

Con Anastasiia l’ultimo report aggiornato dalla Direzione Centrale della polizia criminale, realizzato in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma, ci dice che nel 2022, fino ad oggi, si contano 82 vittime femminili uccise da partner o ex partner.

Ah, ecco, perché non ci era nuova!

Dunque, incazzata, indignata, impotente, mi prendo la responsabilità di discordare con la settimana dal trend #unrossoallaviolenza che inevitabilmente finisce con l’avere, al massimo, lo stesso folklore di una sagra della solidarietà e dichiarare che, invece, siamo sole e che denunciare serve a poco o a nulla e ogni episodio di femminicidio non fa altro che avvalorare la mia convinzione.

Da oggi, allora, cancelliamo pure i segni rossi e tracciamo sotto i nostri occhi strisce nere, come quelle dei possenti e corazzati giocatori di football americano, come quelle dei soldati nel pieno delle battaglie poiché anche per il prossimo anno abbiamo seriamente e tenacemente da combattere e l’imperativo è “prevenire prevenire prevenire”, perché durante i prossimi 358 giorni, come sempre, si tornerà a parlare di violenza sulle donne solo ogni volta che ne ammazzeranno una..

Attenzione, NON sto affermando che ogni relazione tossica abbia come finale il femminicidio ma che tale legame corre pericolosamente sul filo rischioso di quel potenziale epilogo.

Post-it: Questi soggetti non è che si svegliano una mattina e decidono di punto in bianco di mettere fine alla nostra esistenza. No, loro covano e covano nel tempo fino ad arrivare al gesto estremo quando sentono che stanno perdendo potere su di noi. Per i manipolatori affettivi è inaccettabile essere rifiutati o scartati, gli si destabilizza letteralmente il controllo che si ingegnano a mantenere costante, pertanto, scarto e rifiuto sono azioni che, secondo queste menti disturbate, spettano a loro e non a noi.

Chi è, ogni maledetta volta, l’assassino? “Elementare, Watson, elementare! È l’ex, è il partner o l’amante che non vuole essere lasciato e che, intanto, ha collezionato fascicoli di denunce che hanno lo stesso valore della carta igienica.

Ecco che la prevenzione è assolutamente fondamentale, se non ci tutela adeguatamente la giustizia lasciamo almeno che ci provi l’informazione.

 

La violenza invisibile e subdola a cui mi riferivo è la manipolazione mentale che il narcisista patologico attua perfidamente e in modo consapevole, con ripercussioni psicofisiche devastanti sulle prescelte. In cima alla lista delle strategie c’è il “gaslighting”, un vero e proprio lavaggio del cervello che ha lo scopo di farci dubitare innanzitutto della nostra sanità mentale, via via poi, di prendere il pieno controllo di noi e della nostra vita, infine di isolarci e renderci dipendenti da loro.

La dottoressa Ivana Napolitano, ci spiega cos’è il “gaslighting” e come opera il “gaslighter”.

 

«Svegliarsi da un abuso manipolativo è difficilissimo perché il cervello ridotto a brandelli non vuole staccarsi “dall’ipnosi” per riconoscere di essere stato truffato. La paura è lo strumento di controllo d’elezione, è il terreno fertile su cui viene condotta ogni manipolazione.

girone3-fotoarticolo1

Il “GASLIGHTING” rappresenta una forma molto subdola di violenza psicologica, insidiosa e sottile che conduce chi la subisce a mettere in discussione la propria capacità di giudizio e autonomia valutativa fino a giustificare i continui messaggi di svalutazione e cattiveria del carnefice. La vittima dinanzi a continue distorsioni della comunicazione fatte di ingiunzioni come “Ma come non ti ricordi, l’hai detto tu”, “Non me l’hai mai detto, l’avrai immaginato”, “Non vali niente” finisce col convincersi che ciò che dice l’abusante sia la verità, si rassegna, diventa insicura, estremamente vulnerabile e dipendente.

 

In questa fase la violenza si cronicizza. Uscire da una simile gabbia non è semplice, poiché gli attacchi sono continui ma ambivalenti. La gravità di questa situazione è tale da condurre la vittima verso una condizione patologica. Se una donna si trova in una situazione simile va aiutata esattamente come chi viene picchiata, i lividi dell’anima non si vedono ma possono uccidere».

Post-it: Il termine “Gaslighting” deriva dal film “Gaslight” (Angoscia), del 1944, che ha premiato con l’oscar Ingrid Bergman come migliore attrice. Nella pellicola, tratta da un’opera teatrale, la divina Bergman interpreta il ruolo di Paula, moglie di Gregory, che rischia di impazzire a causa delle manipolazioni quotidiane di suo marito. Vale la pena guardare il film, disponibile sul web per intero, per rendersi conto dell’abuso mentale di questa potente tecnica.

Che si trattasse di “gaslighting” e da dove prendesse il nome questa tattica l’ho scoperto quando ho cominciato a documentarmi su ciò che stavo vivendo, quando rinsavendo ho anche acquistato barlumi di lucidità. Prima di allora descrivevo la mia esperienza, almeno verso il finale, associandola alla più famosa pellicola di Kubrik, tratta dal romanzo di Stephen King, Shining.

Non riuscivo a trovare un modo né diverso né peggiore che descrivesse quella “cosa”, per eventi e scenari mi sembrava di essere Wendy e come lei avrei dovuto trasformare quel po’ di nitidezza mentale in astuzia e soprattutto giocare d’anticipo.

Praticamente segregata in casa, nell’ultimo periodo della relazione, mi sono trovata costretta persino a telefonare i miei genitori di nascosto. Non avevo più connessione con il mondo esterno, amiche, amici, famiglia, tutti banditi dalla mia vita e mi inventavo bugie su bugie per tenerli debitamente lontani. Mia mamma e mio papà erano il solo contatto che mi restava, oltre il buio profondo di quella prigione, quindi lui doveva liberarsene.

Li chiamavo in fretta e furia, chiusa nel bagno o rifugiata in angoli della casa opposti a dove fosse “il tipo”, sempre attenta che non se ne accorgesse, un’ansia tremenda, parlavo velocemente per tagliare corto fingendo qualunque tipo d’impegno che mi impedisse di chiacchierare con più calma.

Quando capitava che l’essere abusante mi scopriva urlava:

«Embè, quando chiami i tuoi mi dai un fastidio da pazzi! Non lo devi fare, non c’è bisogno di telefonargli tutti i giorni, ok?!»

Infatti, lui un pazzo sembrava, con quelle espressioni che gli trasformavano il volto e quegli occhi che facevano spavento. Jack Nicholson, uguale!

Una mattina gliel’ho anche detto che gli somigliava, perché cominciava a dare di matto già di prima mattina, e che quell’appartamento sembrava il set di “Shining”, l’ha preso come un complimento. Io ero terrorizzata, lui ci godeva.

I miei genitori cominciarono a rendersi conto della situazione in cui mi trovavo, così un giorno si sono presentati a sorpresa sulla porta d’ingresso, mi sono sentita come il “Piccolo Lord” quando scende di corsa le scale della “sala grande” e si trova davanti la sua mamma spuntata dal retro dell’albero di Natale gigante. Proprio così.

Ora mi permetto di farla io una raccomandazione: “informiamoci, informiamoci, informiamoci!”.

L’informazione è il cardine fondamentale della prevenzione, siamo affamati di sapere e non smettiamo mai di documentarci su soggetti e relazioni con dinamiche dalle spie patologiche. Solo così potremmo individuare quei benedetti segnali, solo informandoci ci verrà automatico non ignorarli. Divulghiamo informazioni agli altri, parliamone senza vergogna o timore di non essere compresi, confrontiamoci sempre. Proviamoci! La conoscenza ci renderà razionali, la razionalità ci salverà.

“Hanno provato a seppellirci ma quello che non sapevano è che eravamo semi”

Dai risultati dei miei “giri di web” questa citazione è iper-inflazionata nelle sue varianti e vanta una serie indefinita di paternità, la più attendibile è che sia comunemente un proverbio messicano.

Ma poco ci importa delle sue origini. Il suo successo deriva dal fatto che sia una frase che colpisce per impatto, positività e speranza e la trovo quanto mai adatta alla causa di amorevol-Mente e in particolare al tema di questo girone.

Pare anche che, nel 2018, il proverbio sia stato usato come messaggio da migliaia di uomini e donne, a Santiago del Cile, in una manifestazione di protesta contro gli abusi domestici e femminicidio. L’evento si è svolto, in Plaza Italia, l’11 maggio perché non ritenevano necessaria l’attesa di una giornata mondiale dedicata.

Terzo Girone

#unrossoallaviolenza

È lunedì 21 novembre 2022. Il lunedì che accompagna la settimana che grida STOP alla violenza sulle donne, perché nel mezzo ha il 25, giornata mondiale dedicata.

È la settimana in cui TV, social, piazze, tutti si mobilitano per noi. Non meno importante è l’aspetto psicologico, per cui, personaggi famosi e sportivi lanciano il loro messaggio scendendo in campo con un segno rosso sul viso per rendere simbolicamente visibile anche quella violenza invisibile, subdola e silenziosa.

Mmh ok, ci piace, grazie tante per questa settimana, in cui la raccomandazione è: “denunciate denunciate denunciate, non siete sole”. Giustamente, gli slogan potrebbero mai esortarci a fare il contrario?!

Va bene, tutto molto bello ma poi passato il santo passata la festa, si spengono i riflettori sulla settimana di sensibilizzazione(?) e, arrivederci, l’appuntamento è al prossimo novembre.

E dopo? E il resto dell’anno?

Qualche giorno fa ho pubblicato sul mio profilo Facebook il post che segue:

“Un’altra donna è stata uccisa da un ex che non ha accettato di essere stato lasciato.

Un’altra donna è stata uccisa dopo aver denunciato.

Dai, menomale, che manca poco alla giornata dedicata”.

girone3-fotoarticolo2

Vi confesso che inizialmente avevo programmato la pubblicazione di amorevol-Mente proprio durante la settimana dedicata alla violenza sulle donne, mi sembrava strategico, ammetto, oltre alla volontà di dare un segnale e, nel mio piccolo, un contributo alla causa.

Poi ci ho riflettuto e ho rimandato l’uscita riconoscendo a me stessa di non poter cedere alle logiche di una strategia di marketing totalmente in contrapposizione con il mio pensiero.

Trovo “le giornate dedicate” inutili, molte delle quali imbarazzanti, questa in particolare mi fa proprio rabbia e concordo appieno con la mia amica C. che ha commentato così il post sopra citato: “Questa giornata è più offensiva degli spogliarellisti l’8 marzo”.

Il post era riferito ad Anastasiia uccisa a coltellate dal compagno, da cui si era separata e che evidentemente non aveva accettato la sua volontà, dopo averne denunciato i maltrattamenti e le minacce.

Come mai questa macabra vicenda non ci è nuova?

Con Anastasiia l’ultimo report aggiornato dalla Direzione Centrale della polizia criminale, realizzato in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma, ci dice che nel 2022, fino ad oggi, si contano 82 vittime femminili uccise da partner o ex partner.

Ah, ecco, perché non ci era nuova!

Dunque, incazzata, indignata, impotente, mi prendo la responsabilità di discordare con la settimana dal trend #unrossoallaviolenza che inevitabilmente finisce con l’avere, al massimo, lo stesso folklore di una sagra della solidarietà e dichiarare che, invece, siamo sole e che denunciare serve a poco o a nulla e ogni episodio di femminicidio non fa altro che avvalorare la mia convinzione.

Da oggi, allora, cancelliamo pure i segni rossi e tracciamo sotto i nostri occhi strisce nere, come quelle dei possenti e corazzati giocatori di football americano, come quelle dei soldati nel pieno delle battaglie poiché anche per il prossimo anno abbiamo seriamente e tenacemente da combattere e l’imperativo è “prevenire prevenire prevenire”, perché durante i prossimi 358 giorni, come sempre, si tornerà a parlare di violenza sulle donne solo ogni volta che ne ammazzeranno una..

Attenzione, NON sto affermando che ogni relazione tossica abbia come finale il femminicidio ma che tale legame corre pericolosamente sul filo rischioso di quel potenziale epilogo.

Post-it: Questi soggetti non è che si svegliano una mattina e decidono di punto in bianco di mettere fine alla nostra esistenza. No, loro covano e covano nel tempo fino ad arrivare al gesto estremo quando sentono che stanno perdendo potere su di noi. Per i manipolatori affettivi è inaccettabile essere rifiutati o scartati, gli si destabilizza letteralmente il controllo che si ingegnano a mantenere costante, pertanto, scarto e rifiuto sono azioni che, secondo queste menti disturbate, spettano a loro e non a noi.

Chi è, ogni maledetta volta, l’assassino? “Elementare, Watson, elementare! È l’ex, è il partner o l’amante che non vuole essere lasciato e che, intanto, ha collezionato fascicoli di denunce che hanno lo stesso valore della carta igienica.

Ecco che la prevenzione è assolutamente fondamentale, se non ci tutela adeguatamente la giustizia lasciamo almeno che ci provi l’informazione.

 

La violenza invisibile e subdola a cui mi riferivo è la manipolazione mentale che il narcisista patologico attua perfidamente e in modo consapevole, con ripercussioni psicofisiche devastanti sulle prescelte. In cima alla lista delle strategie c’è il “gaslighting”, un vero e proprio lavaggio del cervello che ha lo scopo di farci dubitare innanzitutto della nostra sanità mentale, via via poi, di prendere il pieno controllo di noi e della nostra vita, infine di isolarci e renderci dipendenti da loro.

La dottoressa Ivana Napolitano, ci spiega cos’è il “gaslighting” e come opera il “gaslighter”.

 

«Svegliarsi da un abuso manipolativo è difficilissimo perché il cervello ridotto a brandelli non vuole staccarsi “dall’ipnosi” per riconoscere di essere stato truffato. La paura è lo strumento di controllo d’elezione, è il terreno fertile su cui viene condotta ogni manipolazione.

girone3-fotoarticolo1

Il “GASLIGHTING” rappresenta una forma molto subdola di violenza psicologica, insidiosa e sottile che conduce chi la subisce a mettere in discussione la propria capacità di giudizio e autonomia valutativa fino a giustificare i continui messaggi di svalutazione e cattiveria del carnefice. La vittima dinanzi a continue distorsioni della comunicazione fatte di ingiunzioni come “Ma come non ti ricordi, l’hai detto tu”, “Non me l’hai mai detto, l’avrai immaginato”, “Non vali niente” finisce col convincersi che ciò che dice l’abusante sia la verità, si rassegna, diventa insicura, estremamente vulnerabile e dipendente.

 

In questa fase la violenza si cronicizza. Uscire da una simile gabbia non è semplice, poiché gli attacchi sono continui ma ambivalenti. La gravità di questa situazione è tale da condurre la vittima verso una condizione patologica. Se una donna si trova in una situazione simile va aiutata esattamente come chi viene picchiata, i lividi dell’anima non si vedono ma possono uccidere».

Post-it: Il termine “Gaslighting” deriva dal film “Gaslight” (Angoscia), del 1944, che ha premiato con l’oscar Ingrid Bergman come migliore attrice. Nella pellicola, tratta da un’opera teatrale, la divina Bergman interpreta il ruolo di Paula, moglie di Gregory, che rischia di impazzire a causa delle manipolazioni quotidiane di suo marito. Vale la pena guardare il film, disponibile sul web per intero, per rendersi conto dell’abuso mentale di questa potente tecnica.

Che si trattasse di “gaslighting” e da dove prendesse il nome questa tattica l’ho scoperto quando ho cominciato a documentarmi su ciò che stavo vivendo, quando rinsavendo ho anche acquistato barlumi di lucidità. Prima di allora descrivevo la mia esperienza, almeno verso il finale, associandola alla più famosa pellicola di Kubrik, tratta dal romanzo di Stephen King, Shining.

Non riuscivo a trovare un modo né diverso né peggiore che descrivesse quella “cosa”, per eventi e scenari mi sembrava di essere Wendy e come lei avrei dovuto trasformare quel po’ di nitidezza mentale in astuzia e soprattutto giocare d’anticipo.

Praticamente segregata in casa, nell’ultimo periodo della relazione, mi sono trovata costretta persino a telefonare i miei genitori di nascosto. Non avevo più connessione con il mondo esterno, amiche, amici, famiglia, tutti banditi dalla mia vita e mi inventavo bugie su bugie per tenerli debitamente lontani. Mia mamma e mio papà erano il solo contatto che mi restava, oltre il buio profondo di quella prigione, quindi lui doveva liberarsene.

Li chiamavo in fretta e furia, chiusa nel bagno o rifugiata in angoli della casa opposti a dove fosse “il tipo”, sempre attenta che non se ne accorgesse, un’ansia tremenda, parlavo velocemente per tagliare corto fingendo qualunque tipo d’impegno che mi impedisse di chiacchierare con più calma.

Quando capitava che l’essere abusante mi scopriva urlava:

«Embè, quando chiami i tuoi mi dai un fastidio da pazzi! Non lo devi fare, non c’è bisogno di telefonargli tutti i giorni, ok?!»

Infatti, lui un pazzo sembrava, con quelle espressioni che gli trasformavano il volto e quegli occhi che facevano spavento. Jack Nicholson, uguale!

Una mattina gliel’ho anche detto che gli somigliava, perché cominciava a dare di matto già di prima mattina, e che quell’appartamento sembrava il set di “Shining”, l’ha preso come un complimento. Io ero terrorizzata, lui ci godeva.

I miei genitori cominciarono a rendersi conto della situazione in cui mi trovavo, così un giorno si sono presentati a sorpresa sulla porta d’ingresso, mi sono sentita come il “Piccolo Lord” quando scende di corsa le scale della “sala grande” e si trova davanti la sua mamma spuntata dal retro dell’albero di Natale gigante. Proprio così.

Ora mi permetto di farla io una raccomandazione: “informiamoci, informiamoci, informiamoci!”.

L’informazione è il cardine fondamentale della prevenzione, siamo affamati di sapere e non smettiamo mai di documentarci su soggetti e relazioni con dinamiche dalle spie patologiche. Solo così potremmo individuare quei benedetti segnali, solo informandoci ci verrà automatico non ignorarli. Divulghiamo informazioni agli altri, parliamone senza vergogna o timore di non essere compresi, confrontiamoci sempre. Proviamoci! La conoscenza ci renderà razionali, la razionalità ci salverà.

“Hanno provato a seppellirci ma quello che non sapevano è che eravamo semi”

Dai risultati dei miei “giri di web” questa citazione è iper-inflazionata nelle sue varianti e vanta una serie indefinita di paternità, la più attendibile è che sia comunemente un proverbio messicano.

Ma poco ci importa delle sue origini. Il suo successo deriva dal fatto che sia una frase che colpisce per impatto, positività e speranza e la trovo quanto mai adatta alla causa di amorevol-Mente e in particolare al tema di questo girone.

Pare anche che, nel 2018, il proverbio sia stato usato come messaggio da migliaia di uomini e donne, a Santiago del Cile, in una manifestazione di protesta contro gli abusi domestici e femminicidio. L’evento si è svolto, in Plaza Italia, l’11 maggio perché non ritenevano necessaria l’attesa di una giornata mondiale dedicata.